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di Giovanna Galli
Non finisce mai di sorprendere la grandezza di Piero della Francesca. Una grandezza assoluta dal punto di vista artistico, ma non solo: un confronto approfondito con la sua opera, infatti richiede conoscenze nei più disparati campi dello scibile, a dimostrazione di una stupefacente poliedricità e di un’elevatissima statura culturale. E l’ombra di questo gigante della storia dell’arte di tutti i tempi si è estesa lungo il correre dei secoli, fino ad oggi, quando permane intatto il fascino del suo sottile e terribilmente dotto linguaggio stilistico, fatto di perfetto equilibrio tra luce e spazio, ma anche di infinite suggestioni simboliche. Un linguaggio che gli consentiva di dialogare con i più eminenti letterati e umanisti del suo tempo e che oggi gli permette di mantenere più che mai vivo il dibattito critico e interpretativo intorno alla sua pittura. Uno speciale alone enigmatico circonda uno dei suoi capolavori più celebri, la Flagellazione, caratterizzato da scelte iconografiche criptiche e che finora, sebbene pochi altri dipinti siano stati parimenti studiati, si è di fatto sottratto ad ogni sforzo di convincente decodificazione.
Di questa tavola di ridotte dimensioni ( 59 x 81,5 cm) non sono note né la data di realizzazione, né il committente, né la destinazione. Ma il vero mistero riguarda la sua impostazione compositiva, del tutto insolita, di cui non si conoscono altri esempi né precedenti né contemporanei. Sulla sinistra è rappresentata una loggia dove trovano posto il trono – su cui siede presumibilmente Pilato -, il Cristo, legato ad una colonna e attorniato dai suoi aguzzini, colti nell’atto di percuoterlo, e una figura con turbante, di spalle, che osserva la scena. Sulla destra, in primo piano, sono invece ritratti tre personaggi: un uomo barbuto abbigliato all’orientale con turbante, un giovane biondo e scalzo, in una posa statuaria ed enigmatica, ed un uomo dalle sembianze regali che indossa una veste di prezioso broccato blu. Nel perfetto impianto prospettico costruito dal pittore, stupisce che la scena devozionale sia di fatto, nella sua autonomia, secondaria rispetto alle tre figure in primo piano, di cui peraltro è difficile stabilire il rapporto reciproco.
I due momenti narrativi appaiono divisi visivamente da una colonna posta al centro, ma condividono una stessa prospettiva, in una organizzazione complessiva per correlare simbolicamente i due avvenimenti. Secondo una pubblicazione recente, esistono ben trentacinque ipotesi iconografiche intorno al dipinto, contrastanti fra loro o che si escludono a vicenda, ma tutte in qualche modo plausibili e comunque suggestive: da quelle che lo intendono come rappresentazione votiva o come documento di autolegittimazione dinastica della famiglia dei Montefeltro, a quelle che ne fanno un’opera di propaganda per una crociata contro i turchi e da monito per l’unità dei cristiani. Premesso che la maggior parte degli studi su Piero muove dall’assunto basilare che egli curasse le strutture e le funzioni semantiche dei dipinti nei minimi dettagli, misurando i gesti con il compasso, e mettendo le proporzioni e la luce al servizio del messaggio, è accertato che il principale problema interpretativo della Flagellazione riguarda il rapporto tra la scena evangelica sullo sfondo e le tre figure in primo piano, la cui identità varia a seconda delle ricostruzioni del contesto storico in cui l’opera viene collocata, nel vasto repertorio di ipotesi finora avanzate si aggiunge oggi quella di Bernd Roeck, professore di storia rinascimentale dell’Università di Zurigo. Lo studioso è autore di un saggio (Piero della Francesca e l’assassino edito da Bolati Boringhieri)in cui attraverso una ricostruzione degna di un avvincente romanzo giallo, assegna al dipinto niente meno che il valore di una denuncia di omicidio, rivolta verso Federico da Montefeltro. Secondo la sua opinione, supportata da un’approfondita ricerca e dall’abbondanza di riferimenti pittorici e letterari, il committente che incaricò Pietro dell’esecuzione della tavola voleva indicare Federico come mandante dell’assassino di suo fratello Oddantonio, al fine di usurparne il potere ad Urbino. Gli elementi per rendere la trama appassionante non mancano: congiure, guerre, omicidi, vendette sanguinarie, fughe ed esili; e il ruolo del cattivo spetta a quel raffinato mecenate e scaltro statista che fu Federico, mentre altri protagonisti sono condottieri, cardinali, cortigiani, umanisti e donne fatali. Insomma, gli ingredienti per il giallo perfetto ci sono tutti, anche se la vicenda si sviluppa intorno ad un fatto storico realmente accaduto.
Oddantonio, esile e con i riccioli biondi, era l’erede legittimo di Guidoantonio da Montefeltro; sua madre era del casato dei Colonna. Immediatamente dopo la morte del padre, nell’aprile del 1443 ci fu la solenne “incoronazione” nel Duomo di Siena. Poco dopo Oddantonio si fidanzò con Isotta, sorella di Lionello d’Este, marchese di Ferrara. Solo un anno più tardi, nella notte tra il 22 e il 23 luglio 1444, alcuni sicari armati sfondarono la porta del palazzo di Urbino e trucidarono il giovane duca assieme ad alcuni suoi stretti collaboratori. I cadaveri furono gettati dalla finestra. Il corpo di Oddantonio, colpito dai coltelli e da una scure, fu portato in piazza. L’ultimo oltraggio fu quello di tagliargli il pene e infilarglielo in bocca, un gesto che voleva indicarne la dissolutezza: era cosa risaputa, infatti, che Oddantonio abusava di donne maritate e d ragazzine. Già all’indomani, il fratellastro Federico, giunto con una sospetta sollecitudine alle porte di Urbino, ricevette in consegna la città dai congiurati, che non solo furono perdonati, ma ottennero in seguito incarichi importanti. Federico, succedendo al fratello, addebitò la strage al popolo, che mal sopportava le tasse imposte da Oddantonio. Questa versione ufficiale passò alla storia, ma i dubbi di un suo coinvolgimento restarono diffusi. Stando a quanto ricostruito da Roeck, Pietro volle affidare al dipinto il compito di svelare pubblicamente la verità sul delitto. E per farlo creò una sorta di rebus contenente, in maniera celata, tutte le prove.
Cuore della sua teoria è l’identificazione dei tre personaggi in primo piano: il giovane biondo, in tunica rossa e scalzo altri non sarebbe che lo stesso Oddantonio, come dimostrerebbe l’evidente somiglianza con alcun ritratti dell’epoca. Lo sguardo assente, la semplicità della veste e i piedi nudi sono dettagli che indicherebbero che si tratta di un defunto, mentre la posa in cui è colto rimanda simbolicamente alla figura del Cristo flagellato. Il personaggio a sinistra, con la barba e il turbante, sarebbe Giuda, il sommo traditore.
Quello a destra, in broccato blu, potrebbe essere alternativamente, o Bernardino Ubaldini della Carola, il vero padre di Federico da Montefeltro, o Ruben, padre naturale sconosciuto dello stesso Giuda, secondo una storia contenuta nella Legenda aurea di Jacopo da Varagine. Sempre secondo quanto è narrato dalla Legenda, autentico” best-seller” dell’epoca, Ponzio Pilato si macchiò della colpa di aver ucciso il proprio fratellastro, e il rimando a Federico parrebbe chiaro: Pilato, con le mani in mano, assiste impassibile all’evento di cui si consumava la strage ad Urbino, si trovava lontano, e si lavava le mani dal misfatto.
Insomma, l’evocazione di tutti questi personaggi sarebbe stata un modo sottile, ma tagliente, di dare ripetutamente del Caino, del Giuda e del bastardo a Federico. Per tale motivo il committente del quadro avrebbe potuto essere un suo nemico giurato, come lo spregiudicato Sigismondo Malatesta, che in più di un’occasione gli aveva rivolto a viso aperto le stesse accuse. Roeck, però, ritiene più plausibile che si sia trattato del cardinale Prospero Colonna il quale, mosso da fini politici, forse voleva farne dono alle sorelle di Oddantonio, da lui protette e incoraggiarle a rivendicare il ducato di Urbino e a congiurare contro l’usurpatore. Certo è che con la Flagellazione ci troviamo di fronte all’opera più complessa di Piero della Francesca, il cui fascino irresistibile consiste nella volontà, e nella capacità, di oltrepassare la soglia del visibile e del contingente, mirando ad illustrare il compiersi necessario di un processo inserito in un ordine superiore, quello divino. Nella lettura proposta da Roeck, nel silenzio assordante di questa composizione, risuona inesorabile il verdetto che toccherà sempre, anche in futuro, ai nemici di Dio, ai traditori, agli assassini.
La Flagellazione di Piero della Francesca, l'ipotesi dell'omicidio e del "golpe"
Bernd Roeck, professore di storia rinascimentale dell’Università di Zurigo assegna al dipinto niente meno che il valore di una denuncia di omicidio, rivolta verso Federico da Montefeltro. Secondo la sua opinione, il committente che incaricò Pietro dell’esecuzione della tavola voleva indicare Federico come mandante dell’assassino di suo fratello Oddantonio, al fine di usurparne il potere ad Urbino.