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[A]ntiaccademico, privo di intenti idealizzanti, ricco di vivaci rimandi alla tradizione fiamminga del Seicento. E’ l’Autoritratto con famiglia,realizzato nel 1708 da Giuseppe Maria Crespi (1665-1747). In una stanza dalla luce talmente soffusa da impedire il riconoscimento dell’ambiente circostante, presumibilmente il soggiorno, l’artista emiliano si effigia mentre è intento a trainare giocosamente un carretto di legno sul quale è posto, immerso in morbidi cuscini e calde coperte, il figlio minore, Luigi. Alle spalle del padre ecco Maurizio, il primogenito, che ritto a cavalcioni di un bastone, è intento a imitare un cavaliere sul suo destriero. A vegliare benevolmente sulla scena, seduta su di una sedia, non direttamente coinvolta ma comunque partecipe al momento ricreativo, la moglie di Giuseppe, Giovanna Cuppini.
Il solo elemento riconoscibile, ai confini di questa oasi luminosa, è un cavalletto sul quale è posta una tela che ritrae un prete, don Carlo Silva, a dorso di un asino. Con tutta probabilità si tratta di una piccola vendetta di Crespi, che proprio in quegli anni era coinvolto in una vertenza legale con l’ecclesiastico, situazione connessa alla contestata esecuzione del dipinto Il massacro degli innocenti, opera criticata dal sacerdote. Eloquente, inoltre, l’utilizzo della luce, che colpendo i volti dei protagonisti mette in risalto i personaggi, isolando l’istante giocoso, ironico, grottesco nello spazio e nel tempo. Un’immagine che ha il sorprendente sapore di un’istantanea domestica, scattata centocinquant’anni prima della nascita della fotografia.
Il risultato finale si risolve nella percezione di un’atmosfera calda, colloquiale, serena, che pervade la stanza (emozione accentuata dalla buffa presenza del gattino che gioca con un piccolo contenitore nell’angolo in basso a sinistra), quasi che la lucentezza dei visi sia un’emanazione di quella felicità intrinseca espressa chiaramente dai protagonisti.
La linea narrativa principale è posta sul tratto compreso tra Luigi e Giuseppe, non solo in quanto sono le figure in primo piano, ma perchè si discostano cromaticamente dal resto della composizione.
Il rosso acceso della coperta dell’infante e dell’abito dell’artista si stacca vivamente dalla dominante del dipinto – marrone, verde e nero -, facendo dell’opera, come sottolinea Francis Haskell, “il gruppo meno accademico e formale” del periodo.