Una lunga decantazione del vello con erbe e frutti che erano facilmente reperibili nella vallata consentiva alle nostre antenate di affrontare la lavorazione della lana con alcune varianti cromatiche. Colorare il mondo significò addomesticarlo, mutare il linguaggio della natura, utilizzando la natura stessa. Valutare una variante estetica che assumeva anche un significato simbolico ebbe un significato fondamentale per la civiltà. Significò sottrarre al caos del mondo i suoi stessi segreti, per utilizzarli in artificio. Significò – giustamente – ribellarsi all’ordinario corso della natura. Anche nelle piccole cose.
“Nelle scorse settimane – dice la Soprintendenza per i beni culturali di Trento – la nostra archeologa si è divertita a sperimentare alcune tinture con piante del territorio, alcune delle quali verosimilmente utilizzate anche durante la preistoria”.
“Partendo da lana bianca lavata a freddo con lisciva e non mordenzata – prosegue la Soprintendenza – sono state utilizzate la pianta essiccata di reseda, i capolini d Hypericum e il mallo delle noci raccolte alla fine di giugno.
Le piante e la lana da tingere sono state messe in ammollo in acqua fredda in vasi di vetro e lasciate al sole per circa 40 giorni. Unica eccezione per Hypericum: la lana è stata tinta con bagno di tintura a caldo… la lana tinta verrà poi cardata e filata dalle nostre archeologhe dei Servizi educativi.