Le radici bergamasche di Moretto da Brescia, i documenti sulla sua origine

La famiglia veniva da Ardesio, nella Bergamasca. Agli inizi del Quattrocento era giunta in Franciacorta, nel territorio compreso tra Brescia e il lago d'Iseo e poi si era trasferita nel capoluogo bresciano. Il matrimonio tardivo, la famiglia devota, la parentela con un omonimo pittore emergono dalle Provvisioni e dalle polizze d’estimo di un pittore di grande intelligenza e di squisite capacità tecniche

di Federico Bernardelli Curuz

Alessandro Bonvicino nacque a Brescia attorno al 1498. Sappiamo che la famiglia del pittore, originaria di Ardesio, un paese della val Seriana, si era spostata a valle agli inizi del XV secolo raggiungendo la zona del Sebino e della Franciacorta. E’ infatti testimoniata, da antiche carte, la presenza dei Bonvicini a Iseo, Palazzolo, Erbusco, Rovato – per lungo tempo si è ipotizzata, a questo proposito un’origine rovatese dell’artista -. I diversi rami della famiglia erano soprattutto impegnati nel campo della tessitura e del commercio.

Moretto, “Santa Giustina omaggiata da un committente”, 1520-1530
Moretto, “Santa Giustina omaggiata da un committente”, 1520-1530

Fu proprio per cercare nuove opportunità che i Bonvicini avevano lasciato Ardesio, nella Bergamasca, un borgo che sorge a 593 metri sul livello del mare e a 37 chilometri da Bergamo, su un panoramico altopiano alla sinistra del Serio. Il paese, di antica origine, era noto a partire dal secolo XI per la miniera d’argento fatta scavare da Secco. Pare comunque, che, negli spostamenti, secondo i documenti raccolti da Fenaroli nell’Ottocento, il ramo da cui discese Moretto si fosse trasferito in città prima della nascita dell’artista. Molto probabilmente appartiene allo stesso nucleo familiare quel Bonvicino, pittore, che operò a Brescia attorno al 1481, il cui nome emerge da una provvisione con la quale il Comune di Brescia disponeva l’incarico ad Alessandro Ardesio (Bonvicino) per l’intervento di restauro di alcuni dipinti nei quali erano raffigurati gli antichi patroni della città e per la realizzazione di un affresco. La presenza del nome Alessandro, sostituito, in prima istanza, dal luogo di provenienza, e integrato in seconda istanza, dal cognome, consente di ipotizzare una parentela con il padre di colui il quale sarebbe diventato, con Savoldo e Romanino, il maggior pittore bresciano.

Altri riscontri importanti per stabilire il trasferimento dei Bonvicini di Ardesio a Brescia è la presenza del nome (o del soprannome) Moretto nel nucleo familiare cittadino. Il 26 maggio 1456 un Ambrogio e un Moretto, figli di Guglielmino di Ardesio “cognominati pure Bonvicini”, mercanti, dichiarano di essere forestieri, ma, al tempo stesso, attestano di essere domiciliati nel capoluogo da oltre vent’anni e per questo richiedono la cittadinanza, che viene loro accordata. E’ quindi plausibile pensare che il giovane artista fosse chiamato Moretto, in virtù di una consuetudine familiare, come capitava spesso nel passato, quando i nomi di battesimo erano sostituiti da più autentici – e sentimentali – nomi d’uso domestico. L’appartenenza a quel nucleo familiare – Bonvicini di Ardesio – è dimostrato anche da una polizza d’estimo – una sorta di dichiarazione dei redditi – resa nel 1568 dal figlio del celebre artista, Pietro Vincenzo, in quell’anno sedicenne, ma divenuto capofamiglia, in quanto unico maschio di casa, dopo la morte di Moretto. Il documento, nel quale il giovane dichiara proprietà, debiti e crediti – e nel quale certifica la presenza, nel nucleo familiare, di madonna Maria, “nostra madre d’anni 52”, di “Caterina e Isabella nostre sorelle nubili” e di una cameriera – inizia con elementi identificativi inequivocabili che potenziano l’ipotesi di una linea di parentela stretta con i mercanti che avevano chiesto anni prima la cittadinanza e con il pittore al quale il Comune aveva commissionato l’affresco. L’intestazione del documento è la seguente: “Poliza di me Pietro Vinc° fu di Mr Alessandro Bonvicino d’Ardesio”.

Una frazione di Ardesio, il paese d’origine della famiglia di Moretto
Una frazione di Ardesio, il paese d’origine della famiglia di Moretto

Il giovane Pietro Vincenzo aveva solo tre anni, quando, nel 1555, il padre era morto. Moretto si era sposato infatti dopo i cinquanta anni. Confrontiamo a questo proposito, la polizza con un documento analogo compilato nel 1548 dal pittore, che, a quella data, non risulta ammogliato. E’ dunque probabile che il matrimonio con Madonna Maria sia databile attorno al 1550, quando lei aveva 34 anni, mentre il pittore aveva già toccato i cinquantadue. Fin ad allora infatti – argomenta Fenaroli – egli aveva concentrato le proprie energie all’arte, alla consacrazione del proprio talento, lavorando per l’immortalità del proprio nome. E’ probabile dunque che, passando gli anni e avvicinandosi pian piano alla vecchiaia, il Moretto sentisse l’esigenza di passare il resto della vita – prosegue Fenaroli – con una compagna con la quale condividere gioie ed affanni. Evidentemente, come risulta dai rapporti di Moretto con Sant’Angela Merici e con il mondo della rifondazione cattolica, dopo lo strappo della Riforma protestante – e come appare, del resto, nei dipinti e nelle testimonianze che accreditano una sua forte devozione – la famiglia di Moretto era molto religiosa.
Paradigmatico, a questo riguardo, risulta l’impegno dell’artista, che basandosi evidentemente su testimonianze dirette raccolte nella cerchia del veggente, rappresentò, con l’intensità del devoto e dell’uomo di fede profonda – l’apparizione della Vergine Maria, avvenuta nel 1533 a Paitone, quando su quella terra infieriva una violenta pestilenza. Un pastorello, mentre stava cogliendo alcuni frutti selvatici aveva visto, o aveva avuto impressione di scorgere, nella parte più selvaggia del monte, la Vergine Maria con le sembianze di matrona. Ella, adorna di una veste candidissima, si voltò verso il ragazzo e gli fece capire che nel caso in cui fosse stata edificata una chiesa a suo nome sulla cima del monte, la piaga mortale sarebbe cessata miracolosamente.

Proprio per quest’occasione venne chiamato in causa il Moretto, al quale fu commissionato l’importante dipinto. Egli per compiere l’illustre commissione – annota ancora il Fenaroli – si era preparato all’impegno con l’aiuto della preghiera e del digiuno, dimostrando che faceva della propria professione un elemento rituale, con fini di culto. Del resto suo figlio Pietro Vincenzo, il giovanissimo orfano, estensore del documento fiscale, avrebbe scelto la vita religiosa nel convento di Sant’Antonio, in città, indossando l’abito della Compagnia di Gesù.

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