Un appello finalizzato alla conservazione dei relitti di barche antiche evidenziate da ricerche archeologiche è lanciato da Azionemare Fondazione
“I relitti profondi da noi scoperti sono tutti, salvo eccezioni, esposti ai danni delle reti da pesca a strascico. – affermano i responsabili della Fondazione – Le vaste distruzioni di insostituibili reperti archeologici sono tutte da noi documentate, così come gli sconvolgimenti di interi relitti. Se pensate che il possesso abusivo di un semplice coccio di anfora romana costituisce reato penale, cosa dire di Soprintendenze Archeologiche che lasciano procedere il degrado e la distruzione senza intervenire come sarebbe loro preciso dovere?
Anni addietro, noi ci eravamo attivati per sensibilizzare le Autorità Militari (Capitanerie di Porto) che hanno predisposto un sistema automatico di sorveglianza e dissuasione tecnicamente valido. Il sistema è stato applicato con successo in Liguria su due relitti e sarebbe pronto anche per i 22 relitti della Toscana ma le Soprintendenze latitano e la distruzione prosegue giorno dopo giorno”.
“Nelle immagini vedete due fotomosaici dello stesso giacimento, il Daedalus 26 in Liguria, eseguiti nel 2017 e due anni dopo nel 2019 (sulla base della convenzione in atto fra la Fondazione e la Soprintendenza): sono quasi irriconoscibili. E si tratta di ben 710 metri di profondità, per dire fin dove arrivano i pescherecci di Santa Margherita a strascicare le loro reti. A terra, se uno scavo di costruzione porta alla luce tracce archeologiche, i lavori vengono subito interrotti finché Le Soprintendenze non accertano la situazione”.