STILETTATE
diTonino Zana
Il centro storico di un paese, di una città, si definisce per sempre? Passati secoli, avvenute modifiche sostanziali e significative tra il confine dell’antico centro storico e i suoi dintorni, cos’è, un sacrilegio modificare le linee, i confini rinnovati di una nuova o meglio di un’altra storicità?
La nostra cronaca urbanistico-edilizia, almeno quella di un’evidenza valoriale di contesto non ha il diritto e pure il dovere di essere riconsiderata ed entrare, a pieno titolo, nell’originario centro storico?
Ritengo ingiusto sul piano concettuale attribuire il valore di un’eternità al tracciato originario di un centro storico. Del resto, Roma si è spostata dal tracciato di Romolo e Remo.
Io credo sia storia quanto viene apprezzato e vissuto nel tempo lungo, quei tratti di linee e volumi e tetti e gronde invisibili e finestre e orizzonti altri da cui si affacciano queste finestre e tutta l’aria circolante. Non amo Calvino all’infinito, ma quel suo testo “Le città invisibili” intercetta la modernità delle dinamiche nuove, accetta l’originalità e non scrive nulla sulla non originalità. La elimina.
La storicità di un luogo non è data da una linea di confine, piuttosto da un insieme, da un corpo umano ferocemente e immediatamente apprezzabile composto di cementi e di colori. Semmai andrebbe eliminato quanto non sa di centro storico e allargato a quanto sa, eccome, di altro centro storico. Ne guadagnerebbe l’esistenza, quell’andare avanti e indietro da piazza e da casa, da contrada a contrada, da chiesa a cinema, da campagna a borgo con una non banale revisione di quanto costa una città, un paese ridefiniti in spazi finalmente compresi e vissuti.
Non vi pare che l’abbandono dei centri storici abbia a che fare con la vecchiezza – non con l’antichità – di una difesa ad oltranza di un testo urbanistico ormai insostenibile?
C’è da aggiungere, non da isolare, magari poco e però il niente viene a sentire di morte.