di Giovanna Galli
Romano Nanni, fu curatore della mostra “Leonardo e il mito di Leda” e Direttore della Biblioteca e del Museo Leonardiano di Vinci.
La storia di Leda e del Cigno è narrata nelle Metamorfosi di Ovidio. Il libro è un testo chiave nella storia della cultura rinascimentale. Fondamentalmente il mito costituisce una delle sequenze più hard rappresentate in pittura. Mai sarebbe stato possibile raffigurare l’atto sessuale tra un uomo e una donna. Era invece possibile alludere ad esso, soltanto di fronte ad uno stretto numero di iniziati, attraverso l’escamotage della letterarietà del mito. Zeus viene rappresentato come un cigno. Ora ci interessa capire come nell’antichità classica fosse raffigurata la congiunzione tra Giove e la moglie di Tindaro.
In realtà, penso che sia un po’ limitativo centrare l’attenzione sul mito di Leda e del Cigno come allusione in chiave esclusivamente erotica, anche perché nel testo ovidiano si fa riferimento a tutta una serie di azioni “impossibili” realizzate da Giove, grazie alle sue metamorfosi, che ispirarono la cultura sia letteraria che artistica rinascimentale. Per quanto riguarda Leda e il Cigno, nell’antichità classica si affermano sostanzialmente tre tipologie di rappresentazione, come testimoniamo nella prima sezione della mostra: la prima è quella della Leda giacente, che corrisponde in maniera più diretta alla descrizione di Ovidio, una rappresentazione che appartiene più strettamente alla tradizione ellenistica; la seconda è quella testimoniata dalla “Leda di Timotheos”, e corrisponde a un’altra tradizione che vede Leda nell’atto di proteggere il cigno, il quale stavolta non rappresenta Zeus (questi compare invece sotto forma di aquila nell’atto di aggredirlo); vi è poi una terza tipologia, mista, che rappresenta Leda accosciata con il cigno accanto, dove si perde quasi completamente la valenza erotica.
In età umanistica e rinascimentale, cioè tra Quattrocento e Cinquecento, si assiste ad una convergenza di due linee. Una letteraria, legata alla rilettura delle Metamorfosi, appunto, un’altra dettata dalla riscoperta dell’antico. Quali furono i primi pittori del Quattrocento a misurarsi con l’antico mito? E come furono prospettate questa raffigurazioni?
Accanto alla rilettura delle Metamorfosi, bisogna ricordare che tra Medioevo e Rinascimento si affermano anche altre tradizioni, come quella legata ad un altro testo ovidiano, i“ Commentarii”, in cui l’immagine di Leda compare sia come simbolo peccaminoso – dove Giove rappresenta l’uomo potente che incombe sull’innocente fanciulla -, sia in altre figurazioni con significato allegorico, dove ad esempio Leda simboleggia l’Annunciazione, ma anche Danae, e l’amore voluttuoso, terreno – basti pensare alla letteratura di del Tre-Quattrocento, a Petrarca e Boccaccio -. In sostanza, il primo pittore a confrontarsi col tema fu Leonardo. La ricerca iconografica che è stata alla base dell’allestimento di questa mostra ci ha condotti a rilevare un’immagine di Leda in atteggiamento esplicitamente osceno del Filarete su un portale del Vaticano; vi è poi una miniatura di Gherardo di Giovanni, datata all’incirca 1480, su un codice dei “Trionfi” di Petrarca.
Se dovessimo leggere Leda e il Cigno contemporaneamente alle Annunciazioni – e ricordiamo quella magnifica, del giovane Leonardo – potremmo facilmente accostare le due immagini, poiché appartenenti ad uno stesso ambito. Se l’Annunciazione allude alla discesa dello Spirito Santo nel corpo di Maria – alla presenza di un angelo alato -, il Cigno rappresenta la congiunzione carnale del divino con la donna. Non ritiene che Leda completi quel desiderio di carnale proiezione umana nel quadro, impossibile nell’Annunciazione?
Mi pare che non si rilevino segni evidenti di tale significato. Ritengo che si tratti di una questione interpretativa, che si presta a giudizi soggettivi, e che, personalmente, non condivido.
E veniamo a Leonardo. Due sono le redazioni vinciane relative al mito: nella prima è raffigurata “Leda inginocchiata”, nella seconda “Leda stante”. In che anni dipinse queste due opere? Chi erano i committenti? A quali quadri lavorava contemporaneamente?
Dare una risposta a queste domande comporterebbe una vera rivoluzione per la storia dell’arte. Purtroppo, dei due dipinti di Leonardo si sa, di fatto, ben poco. Della perduta “Leda stante” non ci risulta alcuna testimonianza pittorica, mentre della “Leda giacente” esiste soltanto una copia del Giampietrino. Le notizie certe dei due dipinti provengono dalle testimonianze di molti allievi di Leonardo, nonché dai suoi testi autografi. Non è stato ancora possibile giungere ad un’identificazione certa della committenza, e per quanto riguarda la datazione l’opinione prevalente è che le due versioni siano state realizzate nei primi anni del Cinquecento, dopo il 1504-5, anche se gli studi più recenti hanno messo in discussione tale ipotesi. I dipinti a cui il maestro lavorò contemporaneamente, se manteniamo valida quella datazione, furono senz’altro la “Sant’Anna” (sul retro dei cui disegni, a Windsor, sono stati rinvenuti quelli della Leda) e la “Battaglia di Anghiari” di Palazzo Vecchio.
Quali sono gli elementi pittorici e simbologici che differenziano i due interventi? Perché Leonardo sentì l’esigenza di mutare, giungendo a una seconda “redazione”?
Non avendo dati certi in merito alla datazione e alla committenza, si può solo dare un’interpretazione di tipo contenutistico. La “Leda inginocchiata” pare più trepidante, vi è nella stessa mossa tipologia una tensione ben rappresentata, forse quella tra l’amore voluttuoso e quello materno; nella “Leda stante”, il tutto appare più placato, la figura è ferma, in una posa più languida che tesa. Forse si può ipotizzare che la differenza tra le due versioni fosse dovuta alle precise richieste della committenza, una magari più moralistica dell’altra, oppure, semplicemente, al fatto che furono realizzati.