di Giovanna Galli
[B]enché fino ad ora poco conosciuto, Lorenzo d’Alessandro (1462-1501) può essere considerato un eccellente rappresentante del Rinascimento italiano. Nella sua personale interpretazione artistica si esprime pienamente la fusione di insegnamenti diversi, a partire da quelli dei maestri di ispirazione tardogotica e folignate, dei quali volle imitare forme e colori, fino agli esempi della maniera di Carlo Crivelli, o Niccolò Alunno, da lui reinterpretati con nuova dolcezza espressiva. Nato e vissuto a San Severino Marche (Macerata), d’Alessandro riceve ora, nel cinquecentesimo anniversario di morte, il tributo di una mostra importante, organizzata dal Comune e curata da Antonio Paolucci, Vittorio Sgarbi e Paolo del Poggetto, dal titolo “Maestri del Rinascimento a San Severino”: un’iniziativa che vuole essere prima di tutto l’occasione per far conoscere al grande pubblico l’opera di questo maestro.
“Stilearte” ha rivolto alcune domande a Raoul Paciaroni, Direttore dell’Archivio storico del Comune di San Severino, che ha offerto un fondamentale contributo scientifico alla preparazione dell’evento.
Come è nata l’idea di questa mostra?
Dopo la rassegna di due anni fa dedicata ai fratelli Lorenzo e Jacopo Salimbeni, due figure-chiave del Gotico non solo marchigiano, il Comune di San Severino ha voluto proseguire nel filone aperto sull’indagine di quelli che sono stati gli epigoni dell’arte di questa regione, e una mostra dedicata a Lorenzo d’Alessandro è parsa più che mai “dovuta”. La scelta di raccogliere anche opere di altri pittori e di non farne quindi una rassegna monografica è stata compiuta da un lato per consentire un confronto diretto tra il lavoro di d’Alessandro e quello dei suoi contemporanei e una lettura più approfondita della rete di rapporti tra i vari artisti, dall’altro per consentire un maggior richiamo a livello nazionale. Tra l’altro, grazie al recente rinvenimento di alcuni rari carteggi, a seguito di una ricerca da me condotta, è stato possibile fissare con certezza la data di morte del pittore al 1501 (anteriormente a quanto fino ad ora supposto): così, è parso particolarmente opportuno allestire l’evento in coincidenza con il cinquecentesimo anniversario.
Quindi il grande pubblico potrà finalmente conoscere a tutto tondo la figura di questo artista. Vuole raccontare ai nostri lettori qualche particolare emerso dagli studi fatti nell’occasione…
Naturalmente, abbiamo approfittato dell’evento per raccogliere tutta la documentazione possibile, pubblicata poi in una monografia che affianca il catalogo della mostra. Si tratta di una documentazione prevalentemente patrimoniale o amministrativa, dunque non colorita da informazioni di carattere personale. Dalle nostre ricerche si può comunque desumere che egli sia stato, come del resto testimonia appieno la sua vicenda artistica, una persona estremamente serena e pacata. Visse sempre nella sua città natale, partecipando alla vita sociale, come si legge nei carteggi rinvenuti. A questo proposito si può citare un episodio curioso ed emblematico, che è stato ricostruito a partire da un “Libro dei Malefizi” (ovvero una sorta di registro dei processi penali). Nel 1481, durante una festa da ballo a cui Lorenzo era intervenuto come suonatore di liuto (spesso, si sa, gli artisti rinascimentali erano poliedrici: pittori, musicisti, letterati), scoppiò una rissa tra due invitati che si contendevano le grazie di una fanciulla: Uno dei due, che voleva interrompere la musica, sfasciò contro il muro il liuto del nostro, il quale – contravvenendo al costume tipico della società del tempo, quando un affronto simile provocava solitamente reazioni molto forti – si limitò, impassibile, a guardare negli occhi l’aggressore e a dirgli: “Tu non hai fatto bene”.
Dal punto di vista stilistico, la critica non è stata sempre concorde nell’interpretare la vena di Lorenzo d’Alessandro. Per alcuni egli è stato tra i maggiori interpreti dell’arte marchigiana del periodo, mentre per altri la sua opera mancherebbe di sincerità e ricchezza espressiva…
A scanso di equivoci, credo che sia sufficiente ricordare che l’autorevolissimo Bernard Berenson (critico noto per non essere particolarmente tenero) definì Lorenzo D’Alessandro “il più grande pittore delle Marche dopo Gentile da Fabriano”. Altro grande sostenitore dell’artista è stato Mason Perkins, a dimostrazione che, come spesso succede, anche d’Alessandro è stato fino ad ora più apprezzato all’estero che in patria (non è un caso che molti dei suoi quadri più belli siano attualmente ospitati in prestigiose sedi straniere). Stilisticamente, è innegabile la personale reinterpretazione che egli ha saputo operare, a partire dagli esempi dei suoi principali punti di riferimento, Carlo Crivelli – pittore veneto a lungo attivo nelle Marche – e Niccolò Alunno, giungendo ad una cifra autonoma risultante dalla rilettura delle due scuole.
In mostra si potranno ammirare molte opere?
Per questo allestimento è stato possibile raccogliere una quarantina di dipinti, con uno sforzo non indifferente, anche perché, trattandosi di lavori su tavola, molto delicati, il trasporto è risultato assai problematico. Oltre a quadri provenienti dagli Uffizi, dalla Pinacoteca Vaticana, dalla Galleria di Palazzo Barberini a Roma e da Urbino, ci saranno tre tavole dal Museo di Zagabria e, ancora, prestiti da Avignone, Baltimora, New York e dalla National Gallery di Londra. Tra gli inediti in mostra citerei una nuova attribuzione riconosciuta da Giampiero Donnini: una piccola tavola devozionale di particolare pregio esecutivo e in buono stato di conservazione, rinvenuta nel monastero delle Clarisse di San Ginesio e raffigurante una “Madonna con Bambino”.