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Negli ultimi anni alla Lassnig è stato sempre più spesso riconosciuto un ruolo di pioniera del movimento femminista nelle arti visive, un riconoscimento che è stato consacrato quasi al termine della sua vita, nel 2013, con l’assegnazione del Leone d’oro alla carriera dalla Biennale di Venezia.
Nel 2014, anno della sua scomparsa, il MoMA di New York dedicò Maria Lassnig una grande retrospettiva conferendole così un riconoscimento artistico universale; nel 2016 è stata la volta della Tate Modern di Londra celebrare l’artista con una mostra. Nel 2017 i suoi dipinti sono stati esposti agli Uffizi di Firenze.
La mostra, che espone venticinque opere, scelte nel vasto arco temporale di produzione dagli anni Sessanta del secolo scorso al primo decennio del nuovo millennio, offre uno spaccato significativo dell’evoluzione formale di Maria Lassnig. La mostra pose in luce il tema ricorrente dell’artista, l’esplorazione se stessa, la sua persona intesa in senso strettamente fisico, il suo corpo. «La sua arte», come afferma il curatore della mostra Wolfang Drechsler «è autoriferita, egocentrica, con opere costituite in stragrande maggioranza da autoritratti, spesso anche quando portano titoli diversi. Si tratta tuttavia di autoritratti in cui la fisionomia svolge un ruolo marginale. In queste opere il mondo esterno, visibile, funge per lo più da mero involucro per il mondo delle sensazioni interiori, e lo stesso vale anche per le opere, decisamente realistiche, degli anni newyorkesi».
La Lassnig non aveva tuttavia un rapporto narcisistico con se stessa e il suo corpo. Il suo corpo era in realtà un luogo da esperire, indagare e conoscere per rappresentare le sensazioni corporee, quasi un processo di autocoscienza corporea che si percepiva già nei suoi disegni giovanili degli anni Quaranta.
Il concetto chiave che più di ogni altro caratterizza l’opera di Lassnig è quello di Körpergefühl o “consapevolezza corporea”; infatti analizzando introspettivamente la vera natura della propria condizione, seppe usare il mezzo artistico per esprimere sensazioni corporee. Sono numerosi gli autoritratti che danno prova della particolarissima forma di autoanalisi cui l’artista, dalla profonda sensibilità, si sottoponeva costantemente.
Nel corso degli anni Settanta, durante il suo soggiorno in America, la Lassnig scoprì un ulteriore mezzo espressivo nei film di animazione e trovò tra l’altro un impiego alla Walt Disney Production. Realizzò cortometraggi con mezzi rudimentali, disegnati e scritti da sola, oltre che filmati e doppiati personalmente. Queste opere, che risultavano molto più narrative e più facilmente comprensibili rispetto alla pittura interiorizzata e sublimata, oltre a portarle riconoscimenti in rassegne e festival di cinema di avanguardia avvicinarono l’artista ai movimenti femministi dei primi anni Settanta. Il loro contenuto ironico e facilmente comprensibile li rese utilizzabili anche come strumento di lotta.
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