DIEGO, EDSEL, COMPLEMENTARI CHE SI ATTRAGGONO
di Stefano Maria Baratti
Il merito dello storico dell’arte tedesco William R. Valentiner (curatore del Detroit Institute of Arts a partire dal 1924) fu quello di trasformare una mediocre istituzione in uno dei più grandi e importanti musei d’arte negli Stati Uniti , durante un periodo caratterizzato dalla precarietà economica della grande depressione, in seguito al crollo di Wall Street e la successiva crisi finanziaria che sconvolse l’economia mondiale. Questo ridimensionamento avvenne grazie all’acquisto della “Danza Nuziale” di Pieter Bruegel il Vecchio, un dipinto a olio su tavola datato 1566, unitamente alla creazione del grandioso ciclo di pitture murali intitolato “Detroit Industry” (o “The Man of the Machine”) sulle facciate del museo, opera del pittore muralista messicano Diego Rivera, commissionato dal presidente della commissione municipale per l’arte Edsel Ford, figlio del barone del settore automobilistico Henry Ford.
Nel 1931, Diego Rivera e la moglie Frida Kahlo si trasferiscono negli Stati Uniti, prima a San Francisco poi a New York, per la realizzazione di numerose opere in cui le tematiche socialiste di Rivera (iscritto al Partito Comunista Messicano nel 1922) provocarono una serie di polemiche, tra le quali il famoso scontro politico con Rockefeller, il suo sponsor e simbolo del capitalismo americano in persona, per via dell’inclusione di un ritratto di Lenin sul murale del Rockefeller Center di New York intitolato “El Hombre in cruce de caminos”. Ma quando, nel 1932, Rivera inizia le pitture murali per il Detroit Institute of Art, basate sulla tematica dell’industrializzazione in seno alle tecniche della catena di montaggio introdotte da Henry Ford, e malgrado tale assemblaggio rappresenti forti connotazioni di sfruttamento della classe operaia e alienazione della psiche, Rivera è incantato dalla “meravigliosa sinfonia” delle officine dell’impero industriale di Edson Ford, che a sua volta è incantato dal pittore, “un vero poeta e artista, uno dei più grandi del mondo”. Da tale connubio tra l’artista del pueblo e il capitalista a capo della Ford Motor Company nascono una serie di affreschi frutto di un lavoro collettivo orchestrato da Rivera, prodotto da Ford, al modo delle botteghe del Rinascimento italiano: un esercito di operai intonacatori coprono i muri a mezzanotte, all’alba gli aiutanti tracciano con lo stencil i contorni della composizione, applicando i primi colori, quindi Rivera sale sulle impalcature per realizzare il disegno definitivo, le ombre e le sfumature.
Le mura dell’istituto d’arte sono presto trasformate in un inno alla creazione umana e della civiltà moderna, dagli strati geologici per l’estrazione e la fabbricazione del ferro, a tutte le tappe della catena di montaggio, le tecniche di produzione di massa che stabilirono gli standard della produzione industriale mondiale nella prima metà del XX secolo.