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Paesaggi immaginari? Paesaggi simbolici? Ma quando mai. Un appassionante libro – scritto come fosse un romanzo – ribalta un’opinione consolidata. A far da fondale a scene e ritratti dipinti da Piero della Francesca sono angoli precisi del Montefeltro, perfettamente riconoscibili ancor oggi a distanza di secoli.
La tesi è sostenuta nel volume Il paesaggio invisibile (Il lavoro editoriale, 144 pagine) da Rosetta Borchia ed Olivia Nesci – fotografa e videomaker la prima, geomorfologa dell’Università di Urbino la seconda -, che per un anno hanno scandagliato colline e vallate feltresche alla ricerca dei luoghi esatti riprodotti dal grande maestro per le sue celebri opere.
Nata per caso – da un ingrandimento fotografico che ha suggerito a Borchia una singolare somiglianza con gli sfondi del Dittico dei Duchi degli Uffizi -, l’avventura ha preso presto le caratteristiche di un’accurata indagine scientifica. Non solo interminabili scarpinate su e giù per le alture marchigiane, dunque, ma laboriose analisi al computer e studi storici ed ambientali, per verificare quelle che potevano essere congetture – per quanto intriganti – e nulla più, alla luce dell’evoluzione del territorio.
Si prenda, ad esempio, il paesaggio alle spalle del ritratto di Federico da Montefeltro. Sullo sfondo, Piero della Francesca avrebbe riprodotto il Barco di Urbania, con il monte Fronzoso, mentre la vallata intorno sarebbe quella del Metauro. L’identificazione preliminare sulla base della coincidenza dei profili è stata confermata dall’individuazione dell’esatto punto di osservazione scelto dall’artista. La ricostruzione dei mutamenti morfologici della zona ha consentito di ridisegnare con precisione il panorama come era apparso all’occhio di Piero, “cancellando” le variazioni successive determinate da eventi naturali o dalla mano dell’uomo.
Così il lago, su cui veleggiano placide due barchette, che vediamo nella parte sinistra del dipinto altro non sarebbe che l’odierno Metauro. All’epoca, infatti, spiega Olivia Nesci, “il Metauro era notevolmente più esteso, le sue sponde arrivavano ad allargarsi fino a mille e più metri. In seguito il fiume ha subito diverse fasi di erosione e deposizione che l’hanno portato alle attuali quote”, anche a causa di interventi umani. La studiosa ha potuto dimostrare l’esistenza del “lago” attraverso sondaggi geognostici che hanno rilevato i dati del sottosuolo e che sono stati incrociati con le analisi geomorfologiche.
Gli stessi meticolosi procedimenti sono stati adottati per le altre scoperte, relative sempre a noti capolavori di Piero, come i Trionfi ed il San Gerolamo delle Gallerie dell’Accademia. Tenendo a battesimo una nuova, affascinante disciplina: il landscape busting, che non mancherà, c’è da scommetterci, di offrire anche in futuro il proprio prezioso contributo agli storici dell’arte.
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