E’ il Rinascimento a promuovere la figura femminile, anche sotto il profilo dell’elaborazione intellettuale e artistica. Se infatti tra il Duecento e il Quattrocento la donna era considerata, in ristretti circoli di intellettuali e nell’ambito di parte delle classi dominanti, come una creatura angelicata, in grado di elevare spiritualmente l’uomo – fornendo a pittori e poeti la divina grazia dell’ispirazione -, il pensiero umanistico è la base sulla quale si sviluppa l’attività di poetesse e pittrici. E’ da quel punto, pur con interruzioni e percorsi non lineari, che vengono poste le fondamenta per il nuovo ruolo della donna.
Tra il Cinquecento e il Settecento, Sofonisba Anguissola, Lavinia Fontana, Artemisia Gentileschi, Marietta Robusti – figlia prediletta di Tintoretto -, Fede Galizia, Rosalba Carriera dipingono opere di elevatissima qualità, mentre il fenomeno della progressiva diffusione della pittura al femminile copre anche i centri minori d’Italia. Un fenomeno che inizia da lontano e che, tra Seicento e Novecento, porta alla ribalta pure diverse artiste bresciane, tra le quali – e citiamo soltanto alcune pittrici del passato, non addentrandoci per ora nel terreno del contemporaneo – Isabella Piccini, Eufrasia Paglia, Amalia Biancardi, Adelaide Camplani, Amanzia Guerillot (allieva e moglie di Inganni), Eleonora Monti, per poi passare nel Novecento a Rina Soldo. Donne, queste, in grado di superare spesso pregiudizi e difficoltà fortemente radicate nella società borghese, specie nell’Ottocento, quando si preferiva che il mondo femminile curasse l’espressione pittorica in qualità di hobby e non di attività professionale, per seguire una vocazione che unisce capacità tecniche a un’acuta elaborazione intellettuale. E’ proprio il Rinascimento, dicevamo, a promuovere una nuova considerazione della donna come artefice, pur con qualche limitazione. Sì, sentenziavano Leon Battista Alberti, Pietro Bembo e gli altri eruditi dell’epoca, è giusto consentire alle donne l’accesso ad attività, quali la pittura, che fino a quel momento erano di stretta competenza maschile, ma “con moderazione”.
Il lungo apprendistato, la necessità di specializzarsi in un campo ridotto – come quello delle opere di genere, della natura morta o della ritrattistica -, la condizione, non imposta ma necessaria, di appartenere a famiglie economicamente cospicue e la sudditanza agli uomini, a cui erano riservate le opere di maggior rilievo, costituivano le numerosi voci del prezzo da pagare. Una delle antesignane della pittura bresciana è Isabella Piccini di Livemmo. Vissuta nel corso del XVII secolo decide, in età giovanile, di farsi suora. Proprio questa pia scelta le dischiude, seppur indirettamente, le porte del mondo dell’arte. L’istruzione superiore alla media, il quotidiano contatto con dipinti di carattere religioso del cenobio a cui appartiene – probabilmente il convento delle benedettine di Salò -, le aprono il cuore alla passione pittorica, che svolge, a quanto sembra, soprattutto nell’ambito della ritrattistica, anche se non è da escludere un impegno nella realizzazione di opere devozionali. Il Settecento bresciano è dominato, sotto il profilo femminile, dalla figura di Eufrasia Paglia. Figlia del più conosciuto Antonio e nipote di Angelo (lo zio) e Francesco (il nonno), Eufrasia è un caso emblematico dell’equilibrio, non sempre facile, tra autonomia e profonda assunzione delle regole delle botteghe e di una divisione dei ruoli che nella maggior parte dei casi permane. Se i maschi di casa Paglia raggiungono infatti la fama realizzando pale d’altare e tele di grandi dimensioni, Eufrasia, che pur esprime un ragguardevole talento, rimane confinata, anche se non esclusivamente, nell’ambito del ritratto. Altra figlia d’arte operante nel Bresciano, Eleonora Monti impara le tecniche della pittura dal padre Francesco, bolognese di nascita. La ragazza viene alla luce nella nostra città nel 1727 ed è qui che lavora prevalentemente, apprezzata per i pregevoli ritratti. Tra i suoi dipinti si ricorda, per singolarità, un ex-voto custodito nella chiesa del Patrocinio di Maria Vergine sui Ronchi.
Muore sul finire del secolo, non senza aver ottenuto in vita il giusto riconoscimento. Adelaide (o Adele) Camplani nasce a Milano agli inizi del XIX secolo – morirà nel 1863 -, ma si trasferisce presto a Brescia, ed è proprio qui che rivela le proprie capacità in campo artistico. Probabilmente indirizzata dal suo maestro, Giovanni Battista Cigola, abile miniaturista, la donna decide di specializzarsi in questo campo. Diligente allieva, apprende i segreti della pittura lenticolare, raggiungendo, in breve tempo, un grado tecnico molto elevato. Si distacca invece dal consueto genere femminile del ritratto e della natura morta Amalia Biancardi. Nata in provincia di Varese e morta a Como, la pittrice trascorre buona parte della sua vita a Brescia, dove si dedica al disegno, esponendo in numerose occasioni. Ricordiamo la partecipazione alle rassegne dell’Ateneo nel 1829 con una copia della Villa di Cicerone di Voolet e nel 1830 con Chiostro amalfitano e Paesetto, rappresentazione di una veduta svizzera. Anche dopo il trasferimento a Como, Amalia non dimentica la città d’adozione e decide di rinnovarle il proprio affetto con la donazione di alcune opere. Amanzia Guerillot, in questa galleria di artiste bresciane, è certamente la più nota. Seconda moglie di Angelo Inganni, fu sua allieva attenta e sviluppò una pittura che, nell’ambito delle atmosfere soffuse del Biedermeier, si misurò con temi domestici, non disdegnando una matrice decorativa. La sua attività spazia dal ritratto ai dipinti di animali, dagli ex-voto alle vedute, in particolar modo legate a Milano. In alcune occasioni collaborò con il marito nella decorazione di specchi, ventagli, portagioie, paraventi. Una figura, insomma, in grado di caratterizzare fortemente la tradizione della pittura in rosa del XIX secolo. In questo breve excursus non possiamo dimenticare l’arte di Rina Soldo, che segna, da parte delle donne, l’accesso ad un linguaggio vigoroso, molto vicino alle modalità espressive maschili. Nata a Chiari nel 1900, ha la fortuna di vivere in un’epoca in cui si cominciano ad intravedere concreti cambiamenti riguardo il ruolo femminile nella società. Studia a Brera ed espone, a soli ventitré anni, alla Quadriennale di Torino. La giovinezza è un susseguirsi ininterrotto di riconoscimenti, che le derivano dalla notevole intensità di rappresentazione del paesaggio. E’ tra i protagonisti di eventi di rilievo a Milano (a Villa Reale, al Palazzo dell’Arte, alla Biennale braidense), Venezia e Parigi. Muore a Salò nel 1982.