di Giacomo Cordova
[N]on è la prima volta che accade in Italia: ancora una volta, la terza nel giro di soli quattro anni, una parte di Pompei crolla rovinosamente a terra. Si potrebbe dire che quello che non ha fatto l’eruzione del Vesuvio di quel lontano 79 d. C. lo stanno facendo oggi il tempo, l’incuria e la cronica mancanza di fondi. Nel novembre 2010 crollò la Domus dei Gladiatori, probabilmente a causa delle infiltrazioni d’acqua; nel settembre 2012 cadeva una trave di legno della Villa dei Misteri e oggi apprendiamo che si è sbriciolata una parete nella via Stabiana e parte dell’intonaco della Casa della Fontana Piccola.
Il tutto a solo una settimana dall’uscita nelle sale del film “Pompei dal British Museum”, realizzato da un equipe di esperti per rendere ancora più nota la storia di uno dei più famosi e splendidi siti archeologici mondiali. Apriamo gli occhi e iniziamo a prendere esempio dagli altri o, ancora meglio (e sarebbe anche l’ora) ricominciamo a dare l’esempio. Il British Museum lo ricordiamo, opera sin dal 1759 nel campo dell’arte, della storia e dell’archeologia e oggi ospita, nelle proprie sale, circa otto milioni di oggetti che testimoniano la storia e la cultura materiale dell’umanità, dalle origini ad oggi.
E sono sempre gli stessi inglesi a lodare ed ammirare i nostri tesori: il Guardian scrive fiero sulle sue pagine, riguardo all’ultimo film di John Rooney: «Esso ricorda al mondo che Pompei non è solo un attrazione turistica, ma la testimonianza più importante che ci è rimasta sul passato dell’umanità ». L’Italia è di fatto il più grande museo a cielo aperto del mondo, con 4.739 siti archeologici e istituzioni (luoghi di interesse artistico), pubblici e privati, aperti al pubblico, ma non riesce a tutelare e valorizzare ciò che molti altri Paesi vorrebbero possedere.
NEL FILMATO UN VIAGGIO NELLA “CITTA’ SEPOLTA”
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