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Pomponio Amalteo (1505-1588), erede artistico del Pordenone, a fianco del quale lavorò molti anni e di cui sposò la figlia Graziosa, è una delle figure più rilevanti nel panorama friulano del XVI secolo. Perfettamente inserito nel contesto sociale del tempo e, dopo la morte del suocero, quasi senza concorrenti in terra friulana Amalteo, con la sua pittura scenografica, spettacolare, ricca di virtuosismi prospettici e di particolari ripresi dal vero, si configura come un anello di congiunzione tra due epoche: il primo Cinquecento veneto e l’età della Maniera”. Pomponio, personalità sicuramente affascinante (tanto da sposarsi ben cinque volte, e l’ultima a settant’anni suonati), impegnato anche nella gestione politica di San Vito (da consigliere “pro civibus” a podestà), fu artista longevo e fecondissimo, e nell’arco della sua attività, protrattasi per oltre mezzo secolo, lasciò testimonianza di sé in numerosi edifici sacri e palazzi del Nord-est, oggetto ora di un denso itinerario che integra e completa il momento espositivo. La mostra, allestita anni orsono nella chiesa di San Lorenzo dove il pittore trovò sepoltura, consentì, con una cinquantina di dipinti, di ridisegnare il profilo artistico dell’Amalteo e dei suoi più stretti seguaci confrontandone l’opera con quella del Pordenone e di alcuni tra i maggiori autori veneti del Cinquecento – Paolo Veronese, Francesco Bassano, Jacopo e Domenico Tintoretto, Palma il Giovane – che in Friuli hanno lasciato significative testimonianze.
Nel 1529 – giovane ambizioso e di buona famiglia, allievo del Pordenone e già con un matrimonio alle spalle – comincia a fare di testa sua, offrendosi al Consiglio della città di Belluno di dipingere la facciata della Loggia, e con questo compulsione a produrre prosegue la sua attività fino agli ultimi anni quando, ormai ultrasettantenne, ancora lavora febbrilmente. Tra le prove giovanili, oltre al noto San Sebastiano tra i Santi Rocco, Cosma, Damiano e Apollonia – capolavoro eseguito nel 1533, nel quale l’Amalteo avrebbe, secondo tradizione, inserito anche il proprio autoritratto nel volto del San Rocco – vanno segnalate due opere del 1537: la pala raffigurante il Matrimonio mistico di Santa Caterina per l’omonima chiesa di Tolmezzo e la deliziosa Madonna del rosario e santi per la parrocchiale di Travesio. Cruciale spartiacque nella produzione di Amalteo è il 1539, anno della morte del Pordenone. Se, infatti, prima di allora il nostro aveva avuto modo di attingere al repertorio iconografico del maestro, dopo la scomparsa del celebre suocero viene chiamato in svariate occasioni ad ultimare opere intraprese da quegli o a sostituirlo nell’esecuzione di importanti commesse, acquisendone fama ed onori.
Da questi anni emergono opere come l’Estasi di San Francesco dei Civici Musei di Udine – ricordata e lodata dal Vasari – o come la bellissima Annunciazione di Cividale, tra le migliori produzioni dell’Amalteo, anche dipinti meno conosciuti ma non meno significativi, come il gigantesco olio con La cacciata dei mercanti dal Tempio (461×433 cm), realizzato per il duomo di Udine, o i cinque scomparti della cantoria dell’organo del duomo di Oderzo con le Storie di san Giovanni Battista, attualmente montati entro cornici ricavate dalla cassa dello strumento e oggetto nel 2005 di un attento restauro che ha riportato in luce le vivaci cromie originarie. L’apice del percorso di Amalteo in questa fase di maturità, ma anche di fedeltà ai moduli e agli schemi pordenoniani, è rappresentato dalla Fuga in Egitto del duomo di Pordenone: eseguita nel 1565, è caratterizzata dal fantasioso fondale disseminato di statue, tempietti e costruzioni bizzarre e da un nuovo modo di raccordare le figure nello spazio, con un linguaggio decisamente manieristico.
Proprio la dipendenza dell’arte di Pomponio dai moduli pordenoniani è uno dei temi affrontati dalla critica. L’evoluzione stilistica e tecnica può essere notata in un percorso che si dipana dal San Gottardo in trono, tra i Santi Sebastiano e Rocco (conservata nel Museo Civico della città natale), per continuare con due pannelli della cantoria dell’organo del duomo di Udine, con la patetica Pietà per la collegiata di Santa Maria delle Grazie a Cortemaggiore – riemersa casualmente solo nel 1989, arrotolata nella sacrestia assieme ad alcuni tappeti -, con la pala per la chiesa di San Giovanni elemosinario a Venezia, che nella figura di San Rocco mostra chiaramente uno dei modelli di riferimento dell’Amalteo. Poi i modelli, in particolare a partire dal 1550, giungono dalla vicina pittura veneta. Nel lavori di Pomponio degli ultimi anni – come il grande telero con L’Ultima cena per il coro del duomo di Udine o il Martirio di San Pietro, del 1579, realizzato proprio per la chiesa di San Lorenzo a San Vito – i richiami alle scelte figurative di Veronese e Bassano appaiono incontestabili. Pomponio muore a San Vito – la città cui fu legato per tutta la vita – nel marzo del 1588, dopo aver dominato per almeno cinquant’anni il panorama artistico friulano. Nel controllo del “mercato” gli succederanno i generi Sebastiano Secante e Giuseppe Moretto ed una schiera di minori, con i quali si conclude la parabola della pittura del Rinascimento nella regione.
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