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di Beatrice Avanzi
Fabio Benzi in qualità di Direttore artistico del Chiostro del Bramante a Roma, curò la mostra “Il Liberty in Italia”. La intervistammo con l’intento di portare in luce gli elementi strutturali del fenomeno.
La mostra propone una rilettura del Liberty italiano, sottolineandone l’originalità e l’autonomia nel contesto europeo. Com’è nata l’idea di questa rassegna?
Erano vent’anni che non si faceva una mostra sul tema, e c’era quindi la necessità di riproporlo. Inoltre, si sono tenute recentemente due rassegne internazionali molto significative sull’Art Nouveau, una a Parigi ed una a Londra, poi passata alla National Gallery di Washington. In queste rassegne, peraltro molto belle, l’Italia praticamente non esisteva. Su oltre 400 pezzi esposti soltanto quattro o cinque erano italiani, una percentuale assolutamente irrisoria. Proprio dalla constatazione della mancanza di conoscenza del nostro contesto culturale è venuta l’idea di organizzare questa mostra.
Sono in visione 350 pezzi, tutti di altissima qualità. Com’è articolato il percorso espositivo?
Tematicamente. La mostra inizia con una sezione sul contributo italiano all’Europa, su quegli artisti italiani, cioè, che negli anni Ottanta dell’Ottocento – il decennio precedente la nascita del Liberty – contribuiscono al dibattito che porta alla formazione di questo clima. Sono artisti che avevano all’epoca grande fama e larghissime relazioni internazionali, quali Segantini, Previati, Boldini, De Nittis, Costa. La sezione successiva è sul rapporto con il Simbolismo e sulla linea curva, che è germinativa del Liberty e che deriva da una sensibilità decisamente simbolista, in cui la natura è vista come un insieme panico. Altre sezioni prendono in esame aspetti più particolari, ma essenziali del movimento, quali l’Orientalismo, inteso come ricerca di libertà espressiva e di nuove soluzioni formali, o il legame con il Gotico e con il Rinascimento, che sono le radici nazionali cui guarda il Liberty. Un’altra sezione è dedicata alla crisi del movimento, di cui è sintomo la “caricatura” del segno, che da dinamico diviene espressivo, “espressionista”. Infine, una sezione sulle grandi mostre dell’epoca – le Biennali, le esposizioni di arte decorativa – che erano allora la scena della modernità.
Gli antecedenti del Liberty italiano vanno dunque ricercati nelle arti figurative. Ad esse è dedicato ampio spazio, con artisti tra loro molto diversi: da Boldini a Sartorio, fino a Boccioni, Casorati, Wildt. In questo senso, possiamo dire che il Liberty fu un linguaggio trasversale alle poetiche e ai movimenti artistici…
Certo, infatti in mostra ci sono tre generazioni di artisti, nell’arco di trent’anni. E ci sono anche delle opere futuriste, ad esempio di Balla o Sant’Elia. La linea dinamica futurista, in personalità come Balla, nasce proprio dalla linea ondulata del Liberty. Non c’è soluzione di continuità, il Liberty non è un movimento organizzato, è uno stile, e quindi è trasversale, è un “metalinguaggio”.
Il suo influsso fu infatti decisivo per gli sviluppi dell’arte moderna non solo in Italia, ma in tutta Europa…
Sicuramente. Io analizzo questo aspetto nell’arte italiana, ma è un’idea vecchia: già Pevsner negli anni Trenta aveva intuito che nel Liberty c’era la radice della modernità. Lo stesso termine Art Nouveau – arte moderna – o Liberty, nella sua identificazione con la libertà, è il preannuncio delle avanguardie.
Un certo ritardo dell’Italia nell’adesione al nuovo gusto vi fu, invece, nelle arti applicate.
Sì, questo è vero nel complesso, ma all’interno della situazione italiana ci sono dei casi isolati estremamente precoci anche nelle arti applicate. Nell’adesione a uno stile che nasce quasi simultaneamente in tutta Europa, l’Italia ha patito, in questo settore, un ritardo di qualche anno, ma ha avuto pure dei precursori, come Carlo Bugatti, che già negli anni Ottanta esegue mobili Liberty che saranno d’esempio a tutta Europa.
Le arti applicate – ampiamente rappresentate in mostra – sono un settore particolarmente importante per il dibattito, proprio dell’età modernista, sulla qualificazione artistica degli oggetti d’uso quotidiano e sulla messa a punto di un’arte industriale…
Sì, perché il Liberty è proprio questo. Significa abbattere le frontiere tra arti nobili e arti minori e, quindi, la consapevolezza da parte degli artisti che fare un vaso richiede lo stesso impegno che dipingere un quadro, e che entrambi sono oggetti d’arte. E, soprattutto, c’è la consapevolezza del mondo moderno che avanza con le sue strutture e, quindi, con il sistema industriale, e il “dovere” che questi artisti sentono di capire come inserirsi nel sistema, progettando oggetti destinati ad essere prodotti industrialmente e ad avere un’enorme diffusione.
Infine, è possibile individuare alcuni tratti peculiari del Liberty italiano nel contesto europeo?
Un aspetto molto singolare dell’Italia nel confronto con l’Europa è che il Liberty si sviluppò in larga parte nella pittura, trovando una diffusione di altissima qualità. Poiché la situazione italiana era leggermente “arretrata” rispetto a paesi come la Francia o l’Inghilterra, sono gli intellettuali di punta, i pittori, che sentono la novità del movimento. Cosa che negli altri Paesi non si è verificata, ad eccezione dell’Austria, anch’essa industrialmente arretrata. In Austria abbiamo Klimt, che totalmente Liberty, e in Italia pittori di primissimo livello – Segantini, ad esempio -: nessun’altra Nazione in Europa può vantare un insieme di artisti di questa qualità. Bistolfi è senza dubbio il più grande scultore europeo Liberty. Galileo Chini, inoltre, è forse il personaggio più emblematico del Liberty italiano, perché ha fatto “tutto”. Ha realizzato dipinti, decorazioni ambientali, ha aperto una fabbrica di ceramiche, ha creato mobili, illustrazioni… E’ stato veramente l’artista poliedrico Liberty per eccellenza, secondo l’idea di un’arte senza barriere, che si diffonde in tutti i campi del quotidiano, utilizzando anche il linguaggio industriale. (Stile Arte, maggio 2001)
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