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Questa persona partorì e allattò il bambino. Un transgender del Seicento fu ritratto da Ribera?


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L’arte tra Manierismo e Barocco, nella sua tensione a perseguire effetti fantasiosi e bizzarri, indugiava spesso nella ricerca e nella rappresentazione di soggetti “strani”, esotici, capaci di suscitare quello stupore e quella meraviglia, tanto ricercati, non solo dal punto di vista stilistico. Ed ecco così comparire nelle quadrerie delle più importanti corti europee, dove in quei tempi si acuiva l’interesse per scienze particolari quali la teratologia, ovvero lo studio delle estreme, spaventose diversità animali e vegetali, una corposa galleria di dipinti in cui figurano ritratti curiosi personaggi.


Anche Ribera detto lo Spagnoletto fu chiamato a documentare, nel 1631, con quello sguardo a metà tra camera delle meraviglie e la documentazione scientifica di un’anomalia, un fenomeno particolare. Una maternità che poneva tanti dubbi – almeno all’epoca -. Il quadro (qui sopra) raffigura una donna di Accumoli, Maddalena Ventura, alla quale cominciò a crescere copiosamente la barba durante la gravidanza, a partire dall’età di trentasette anni: nel 1631 la donna venne chiamata a corte dal viceré di Napoli, il duca di Alcalá, insieme al marito e al figlioletto e venne fatta ritrarre dallo Spagnoletto, così come la vediamo in questa pagina. Il mutamento osservato andò a toccare anche gli elementi fisiognomici, che transitarono decisamente verso caratteristiche somatiche e strutturali maschili. Fu solo un caso di ipertricosi, cioè di eccessiva crescita dei peli o la trasformazione fu più profonda?

Nell’epigrafe alla nostra destra, nel quadro, sta scritto in latino, che qui proponiamo tradotto:

Maddalena Ventura
dalla città di Accumoli
presso i Sanniti, dall’Abruzzo
del Regno di Napoli, di anni 52
e ciò che è inusuale è che
quando aveva 37 anni di età
inizio a coprirsi di peli e
a sviluppare una barba così lunga
e rigogliosa che potresti vederla
su un maestro barbuto
piuttosto che su una donna
che in precedenza ha dato tre figli
a suo marito Felice de Amici,
che vedi vicino a lei.
Jusepe de Ribera
spagnolo insignito della
Croce di Cristo
nuovo Apelle del suo tempo
su incarico di Ferdinando II
3° duca di Alcalà viceré di Napoli
dipinse straordinariamente dal vivo
16 febbraio
anno 1631

Un caso di ipertricosi conclamato è costituito da Petrus Gonsalus, nome del capostipite di una famiglia che durante gli ultimi anni del XVI secolo acquistò notevole fama in Europa proprio per l’insolita e rara patologia da cui erano affetti i suoi componenti: l’Hypertrichosis universalis congenita, che ricopre la pelle di una diffusa peluria concentrata soprattutto sul volto. Petrus era nato nelle isole Canarie e fu condotto alla corte francese di Enrico II, dove fu educato alle lettere e alle buone maniere ed esibito come vivente meraviglia esotica. L’uomo peloso venne fatto sposare a una donna bellissima e mise al mondo alcuni figli che ereditarono l’anomalia del padre, mentre altri nacquero senza alcuna anomalia.

Il grande interesse suscitato dai Gonsalus – oltre ad essere motivo di ispirazione della favola de “La bella e la bestia” – è testimoniato dal successo dei ritratti realizzati nel 1582 da un pittore fiammingo (oggi conservati al Kunsthistorisches Museum di Vienna), che diventarono in brevissimo tempo una delle più celebrate attrazioni della collezione dell’arciduca Ferdinando II Gonzaga e furono copiati in varie miniature e dipinti. Nel 1583 la bizzarra famiglia si trasferì in Italia, e più precisamente a Parma, al seguito di Margherita d’Austria, e da questo momento anche nel nostro Paese se ne registrano numerose testimonianze documentarie e iconografiche. Arrigo Gonsalus (figlio di Petrus) appare per esempio nel noto dipinto di Agostino Carracci, realizzato alla corte del cardinale Edoardo Farnese, dal titolo “Arrigo Peloso, Pietro Matto e Amon Nano”, conservato al Museo di Capodimonte di Napoli. (nella foto, qui sotto)
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Mentre il volume “Monstrorum historia”(1624) dello studioso Ulisse Aldrovandi, fondatore della prima cattedra di scienze naturali a Bologna e considerato il precursore dell’osservazione naturalistica, contiene ben quattro xilografie che rappresentano altrettanti membri della famiglia Gonsalus: Pietro e tre figli, di 8, 12 e 20 anni.

A questo proposito, occorre ricordare che l’Aldrovandi teorizzò l’assoluta importanza della figura come strumento di indagine e di approfondimento della realtà naturale, tanto da realizzare un corpus di circa cinquemila immagini a tempera, spesso utilizzate quali prototipi per le illustrazioni xilografiche delle sue opere a stampa, commissionate ad un gruppo di artisti che lavoravano sotto la sua direzione. E’ probabile che uno di questi artisti fosse Lavinia Fontana (Bologna, 1552 – Roma, 1614).

E’ lei infatti l’autrice di un dipinto, databile tra il 1594 ed il 1595, che raffigura la figlia di Pietro, Antonietta Gonsalus. Lavinia Fontana, che iniziò la sua carriera sotto la guida del padre Prospero, uno dei protagonisti della cultura tardomanierista a Bologna, fu elegante interprete dei modelli di Raffaello, Perugino e Zuccari, e trovò proprio nel ritratto il suo miglior genere espressivo. Essendo stato ritrovato nel taccuino della pittrice un delicato disegno a matita rossa, riproducente il volto di una ragazzina pelosa, e la cui datazione è stata indicata fra la fine degli anni Ottanta ed il 1594-95, si è dedotto che la Fontana avesse avuto modo di ritrarre dal vivo Antonietta durante un viaggio nella città felsinea al seguito della marchesa di Soragna, in occasione del quale la bambina fu visitata, come è documentato, dall’Aldrovandi. L’autografia del dipinto, che il museo francese acquistò nel 1997 da un antiquario veneziano, non è mai stata posta in discussione, l’identità dell’effigiata neppure.

Tra il quadro e il disegno vi sono alcune differenze: la prova grafica coglie soltanto il volto della ragazzina, raffigurata in posa informale, con i capelli raccolti in una coda; la tela, invece, ne propone la figura a mezzo busto, mentre indossa un abito elegante, con un alto colletto di pizzo e bottoni d’oro e con un’acconciatura decorata con fiori e fiocchetti. E’ possibile che Lavinia avesse avuto modo di incontrare Antonietta in diverse occasioni, o che il dipinto sia una rielaborazione del disegno, eseguita su richiesta del committente, prendendo spunto da altre immagini della fanciulla allora in circolazione. I Gonzaga, in linea con tutti i regnanti dell’epoca, collezionavano “mirabilia” naturali; non è dunque strano che nelle loro raccolte d’arte comparisse anche un ritratto di uno dei Gonsalus. E’ plausibile che Vincenzo Gonzaga abbia a suo tempo richiesto il quadro o direttamente all’autrice, o all’Aldrovandi, visto che a sua volta questi, assiduo frequentatore della corte mantovana e dell’ambiente culturale-scientifico che la circondava, aveva richiesto ai Gonzaga il permesso di trarre immagini dei loro preziosi reperti naturalistici.
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