Riparare le ferite, evidenziandole, con una linea d’oro o d’argento. E’ il kintsugi o kintsukuroi, una pratica artistica giapponese che prevede di “riparare con l’oro” i pezzi di vecchia ceramica, andati in frantumi. Il raccordo tra i diversi cocci viene garantito dall’utilizzo di metallo pregiato liquido oppure – più semplicemente – di lacca nella quale viene stemperata polvere aurea.
Spesso capita, nella vita, di raccogliere i pezzi di se stessi e cercare di riunirli per poter ripartire. Ma sovente l’incidente della caduta viene nascosto, come vengono nascoste le ferite, ritenendo che esse possano apparire come segni di debolezza od indicare, all’avversario, presunti punti deboli.
Tutto, con il kintsugi o kintsukuroi, viene invece raccolto, assemblato e reso prezioso. Non tanto per ottenere l’oggetto com’era prima, ma per dare corpo a un nuovo oggetto, simile al primo, ma ben più ricco di sfumature e di ramificazioni. E’ la nuova vita della ceramica, resa più bella da ciò che potrebbe apparire come un’imperfezione.
Lo scrittore Herman Hesse, nel romanzo Siddartha, indica una strada parallela al kintsugi. Il protagonista del romanzo, superando il distacco dalla vita del buddhismo, trova un equilibrio di gioia superiore, accettando le ferite della vita stessa e gli errori commessi, riparandoli senza cancellarli – con la saggezza e una tensione spirituale che diventa tensione estetica.