E’ sempre complesso il rapporto tra cittadino e Stato, in Italia. Sarà anche perchè, nella maggior parte dei casi, la nostra macchina burocratica si fa percepire – e diciamo solo così – come un castello kafkiano, legato più all’idea di un labirinto punitivo che di collaborazione. E che, alla fine, vince sempre.
D’altro canto, noi cittadini siamo litigiosissimi. C’è un altro popolo così litigioso e così aspramente diviso su tutto?
Be’, basta sommare questi addendi alla presenza di leggi sovrapposte, la cui sovrapposizione stratigrafica, garantisce poche certezze e tante possibili interpretazioni per avere un quadro completo di una conflittualità che, peraltro, abbiamo davanti agli occhi tutti i giorni – in ogni campo – e che è, in tanta parte, causa di infiniti problemi.
A Como è così in corso uno scontro tra l’impresa che, durante una ristrutturazione, ha trovato un tesoro romano composto da 1000 monete in un contenitore ollare, e lo Stato. L’imprenditore dice che, oltre ad avere il merito della scoperta ha pagato lo scavo archeologico e i costi di recupero, nonché gli studi successivi, “il tutto – come scrive il quotidiano La Provincia di Como – per una spesa 330mila euro, mentre il ministero ha offerto la cifra di 369mila euro, che corrisponde al 9,25% del valore stimato del tesoro, cui va sottratta una ritenuta del 25%, pari a circa 92mila euro”.
La valutazione economica del tesoro è poi diversa. L’imprenditore ha fatto valutare le monete ad esperti consulenti di importanti case d’aste londinesi – dove il mercato libero è ampio e redditizio – mentre lo Stato, considerato il fatto che in Italia non è possibile vendere oggetti provenienti da uno scavo, ma solo reperti provenienti da antiche collezioni – i mercati sono qui pigri e insidiosi e le quotazioni sono assolutamente inferiori.
“Per la Soprintendenza – scrive la Provincia di Como – la “collezione” vale meno di 4 milioni complessivi mentre secondo i consulenti londinesi dell’impresa, soltanto cinque dei dieci pezzi più rari, cioè le monete dell’imperatore Anicio Olibrio, varrebbero da soli – se ceduti a un’asta – sui due milioni di euro, contro i 40mila (cadauna) stimati dal ministero”.
Le monete del tesoro di Como – trovato nel 2018 nel centro della città lombarda – appartengono alle emissioni degli imperatori Arcadio, Onorio, Teodosio II, Valentiniano III, Marciano, Petronio Massimo, Avito, Leone I, Maioriano, Libio Severo, Antemio e Anicio Olibrio. Sono presenti solidi anche a nome delle Auguste Aelia Pulcheria, Galla Placidia, Giusta Grata Onoria e Licinia Eudossia.
Sono presenti per lo più emissioni di zecche occidentali, con prevalenza di quella di Milano da cui provengono ben 639 solidi. Ciò indica che il Tesoro fu costituito in Italia settentrionale, nell’area direttamente dipendente da Milano per l’approvvigionamento monetale.
L’esame dei segni presenti sulle monete ha consentito di avanzare una proposta di ricostruzione della catena operativa di produzione, dall’affinamento del metallo, alla realizzazione dei tondelli e alla coniazione e di indicare quali dovevano essere le caratteristiche e le dotazioni degli spazi in cui avvenivano le diverse operazioni.
Se, infatti, per la verifica della temperatura dell’oro fuso erano necessari ambienti bui dotati di piccoli forni, per la coniazione era opportuno che le stanze avessero buona illuminazione e disponessero di postazioni di lavoro con incudini e martelli.
La presenza di frammenti di ferro in alcune monete è indizio del recupero dell’oro proveniente dalla limatura dei bordi per aggiustare il peso. Durante questa operazione i frammenti delle lime potevano non essere riconosciuti e finivano mischiati all’oro da rifondere.
La presenza nel Tesoro di consistenti gruppi di monete che non presentano tracce d’uso e che sono stati prodotti con la stessa coppia di conii suggerisce che il Tesoro contenga porzioni di pagamenti effettuati direttamente dalle casse imperiali a un ricco privato o a un ufficio pubblico. Si tratterebbe quindi di una riserva, costituitasi in almeno 15-20 anni, e nascosta fra la fine del 472 e i primi mesi del 473, ovvero fra la morte di Anicio Olibrio e la nomina ad imperatore di Glicerio nel marzo 473.
Fra i gioielli nascosti con le monete, i tre anelli portano segni d’uso mentre gli orecchini appaiono non finiti e devono provenire da un atelier orafo come pure gli altri manufatti in oro, fra cui un frammento di lingotto che le analisi hanno rivelato essere composto da una lega di oro e argento analoga a quella utilizzata per i monili. La presenza di questi oggetti dipende dalla volontà di preservare tutto il metallo prezioso che era stato possibile raccogliere.
I risultati degli studi sono ora pubblicati nel libro di Grazia Facchinetti, Il Tesoro di Como. Via Diaz 2018 (con contributi di Maurizio Aceto, Fulvia S. Aghib, Angelo Agostino, Marco Balini, Roberto Bugini, Stefania Crespi, Costanza Cucini, Luisa Folli, Emiliano Garatti, Annalisa Gasparetto, Barbara Grassi, Federica Guidi, Maria Labate, Alessia Marcheschi, Elisa Possenti, Agostino Rizzi, Eliana Sedini), edito, in collaborazione con la Direzione Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio del MiC, dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato nella collana Notiziario del Portale Numismatico dello Stato.
Il volume è diviso in cinque sezioni tematiche che illustrano il contesto archeologico, la composizione del Tesoro e le attività di documentazione durante il microscavo, il contesto storico, le monete, i gioielli e gli altri manufatti aurei e si conclude con un capitolo dedicato alla ricostruzione dei possibili motivi che possono aver spinto nasconderlo e all’identificazione del proprietario.