Si scende verso l’antro di Vei, la bella dea etrusca della procreazione alla quale si doveva accarezzare il seno

La Soprintendenza valorizza la necropoli della Cannicella di Orvieto, alla riscoperta di antichi culti legati all'acqua e alla figura conturbante della dea femminile della fecondità. La sua statua venne importata dalla Grecia. I fori erano probabilmente utilizzati per reggere stoffe e preziosi. I suoi seni sono stati consumati dalle carezze dei devoti

Nell’ambito del Piano di Valorizzazione 2021 promosso dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio dell’Umbria in collaborazione con il Ministero della Cultura sono in programma per sabato 25 e domenica 26 settembre, dalle 9 alle 13, una serie di visite guidate a Cannicella. Interessata da interventi di pulizia e riqualificazione, l’area archeologica della Necropoli e del Santuario Etrusco sarà fruibile con turni di un’ora circa a un massimo di 15 persone per turno.

In discesa, a piedi, verso un luogo meraviglioso, verso il santuario identificato nel 1884, in seguito alla scoperta di un muro in blocchi di tufo esteso per 50 metri. Il complesso, legato probabilmente a divinità del sottosuolo e a pratiche religiose connesse con la celebrazione dei defunti, è stato sistematicamente esplorato tra il 1977 ed il 1999.

Degli apprestamenti liturgici facevano parte una serie di canalette legate alla circolazione di acqua e all’offerta di liquidi. Importante è la scoperta di una fossa entro cui, dopo la distruzione romana del santuario, vennero accumulati resti delle decorazioni dell’edificio sacro, vasellame e numerosissimi resti di animali. Per la realizzazione del santuario, che in virtù delle dimensioni contenute ricorda una vera e propria cappella cimiteriale, vennero rasi al suolo alcuni sepolcri precedenti.

Oltre alla scultura nota come “Venere di Cannicella”- che fu scolpita nel marmo dell’isola di Paro in Grecia, verso la fine del VI secolo a.C.- l’area sacra ha restituito importanti terrecotte architettoniche. Tra queste spicca un acroterio – l’acroterio è una decorazione sommitale di un edificio – in terracotta raffigurante il matricidio di Oreste, databile al 480 a.C. circa ed oggi conservato al Museo Archeologico Nazionale di Piazza Duomo. L’area del santuario continuò ad essere frequentata nel corso dell’Età Romana, quando vennero realizzate una serie di vasche, e medievale. Tra i ritrovamenti più interessanti, alcune tombe longobarde. Ma chi era la bella dea, detta Venere di Cannicella? Era Vei.
“Vei, una divinità sconosciuta fino agli anni ’80 del secolo scorso – dice Vittoria Lecce, funzionario archeologo del Museo del Museo nazionale etrusco di Villa Giulia nel sito fb del museo stesso- perché il suo nome non compare sul Fegato di Piacenza né fra le divinità etrusche tramandate dalle fonti antiche. Le iscrizioni e lo studio dei dati archeologici hanno permesso la “riscoperta” di questa figura divina, che ad oggi risulta venerata in molte grandi città etrusche, come Cerveteri, Tarquinia (presso il porto di Gravisca), Vulci, Orvieto e Veio; quest’ultima città addirittura porta lo stesso nome della dea. Si trattava quindi di una divinità importante, probabilmente fra le più antiche del pantheon etrusco”.
“Secondo una suggestiva interpretazione, “Vei” potrebbe aver avuto lo stesso significato del termine latino “vis”, da intendere specificamente come “forza generatrice”. Il nome, qualunque sia stato il significato originario, definisce certamente una dea preposta alla rigenerazione del ciclo vitale, sia umano sia della natura, e non a caso “Ati” (Madre) era uno dei suoi attributi. Per le sue caratteristiche Vei venne assimilata alla Demetra dei Greci e alla Cerere dei Romani”.
Il culto – argomenta l’archeologa – comprendeva il dono di primizie alla divinità e di simboli legati alla fertilit. “In diversi santuari – prosegue Vittoria Lecce – sono state rinvenute “ollette” (recipienti da fuoco) – destinate probabilmente alla preparazione di zuppe di cereali . e rappresentazioni di uteri femminili. Questi doni richiamano la capacità di Vei di assicurare la fertilità dei campi e la fecondità umana, attraverso la protezione della gravidanza. Non sembra sia esistito un modo “etrusco” di raffigurare la dea: le immagini note derivano da iconografie greche, legate soprattutto a Demetra ma anche ad Afrodite. È il caso della cosiddetta Venere della Cannicella, una scultura di importazione realizzata in marmo greco e rinvenuta a Orvieto, dove era quasi certamente utilizzata per il culto di Vei. La dea è nuda, in origine la statua era completata da gioielli e forse era anche rivestita di stoffe preziose. I seni appaiono “consumati”, tanto che uno venne restaurato in antico: probabilmente in alcune occasioni i fedeli potevano toccare la statua per assicurarsi la protezione della divinità, come accade ancora oggi in alcuni santuari cristiani. L’assimilazione di Vei con Demetra favorì anche la diffusione dei misteri eleusini (riti segreti che si celebravano in origine nel santuario di Demetra a Eleusi) in Etruria: agli iniziati veniva promessa una sorte migliore nell’aldilà o una “rigenerazione”, ovvero una nuova vita dopo la morte”.
E’ interessante notare – dai segni di ciò che rimane dell’avambraccio destro della divinità – che Vei appoggiava la mano destra al ventre.

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Maurizio Bernardelli Curuz
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