Una piccola stanza di una famigliola di schiavi stallieri è emersa durante gli scavi archeologici della villa pompeiana di Civita Giuliana.
Il grande palazzo di campagna – sorgeva poco al di là della periferia di Pompei – apparteneva un notabile dell’impero. La villa è stata recentemente portata alla luce dopo il sequestro dell’area oggetto di scavi clandestini. La stanza di servizio non è distante dal portico in cui è stato trovato e portato alla luce, nei mesi scorsi, uno splendido carro da cerimonia.
Nella stanza c’erano tre brandine – disposte a ferro di cavallo – una delle quali, lunga 1 metro e 40 centimetri, era destinata ad un bambino. Brandine di legno, con un sistema di corde che reggevano il peso dei corpi. Le brandine potevano essere allungate o accorciate, con un sistema a scorrimento. Sui letti c’erano le stuoie che evitavano il contatto diretto con le corde stesse.
Per terra, vasi da notte e una brocca. Al centro dello stanzino c’era la cassa che conteneva i finimenti per i cavalli. Il timone di un carro era stato riparato e appoggiato al letto del bambino. E grandi anfore erano accatastate in angolo. Probabilmente un piccolo magazzino, che era stato adattato all’accoglienza di un nucleo familiare di schiavi che lavorava nelle stalle della villa. Le pareti scabre e spoglie.
Un colpo di colore bianco era stato stato pennellato solo nel punto in cui veniva messo il lume. Il colore chiaro poteva infatti distribuire meglio la luce, nel vano, considerato il fatto che i mattoni assorbono la luce. La stanza era stata abbandonata dagli occupanti durante l’eruzione vulcanica.
Nei mesi scorsi, come dicevamo, nell’area del portico dell’area delle stalle era emerso uno splendido carro da parata. Secondo gli studiosi il carro a quattro ruote è probabilmente identificabile, sulla base delle notizie tramandate dalle fonti e dei pochi riscontri archeologici ad oggi noti, con un pilentum, un veicolo da trasporto usato nel mondo romano dalle élites in contesti cerimoniali.
“Su alte ruote in ferro, connesse tra loro da un sistema meccanico di avanzata tecnologia, si erge il leggero cassone (0.90 x 1.40 m), parte principale del carro, su cui era prevista la seduta, contornata da braccioli e schienale metallici, per uno o due individui. – scrivono gli archeologi – Il cassone è riccamente decorato sui due lati lunghi con l’alternanza di lamine bronzee intagliate e pannelli lignei dipinti in rosso e nero, mentre sul retro termina con un complesso e articolato sistema decorativo che prevede tre distinti registri con una successione di medaglioni in bronzo e stagno con scene figurate. Questi, incastonati nelle lamine bronzee e contornati da motivi decorativi in esse ricavati, rappresentano figure maschili e femminili a rilievo ritratte in scene a sfondo erotico. La lamina bronzea è inoltre decorata nella parte superiore con piccoli medaglioni, sempre in stagno, che riproducono amorini impegnati in varie attività. Nella parte inferiore del carro si conserva una piccola erma femminile in bronzo con corona”.
Lo studio del rapporto tra ogni singola figura, quanto l’approfondimento sull’ambiente del ritrovamento consentiranno di restringere il range delle ipotesi.
“Nella stalla adiacente già indagata – dicono gli studiosi – ricordiamo che era stato possibile realizzare oltre al calco della mangiatoia, il calco di un cavallo di grande taglia, che presentava ricche bardature in bronzo. Nello stesso ambiente si rinvennero altri due cavalli, uno riverso sul fianco destro e uno sul fianco sinistro, di cui non è stato possibile realizzare il calco, a causa dei danni causati dai tunnel dei tombaroli e alla conseguente cementificazione delle cavità, che ne avevano distrutto il contesto di ritrovamento. Sono state tuttavia rinvenute altre bardature in bronzo, pertinenti ad una sella e altri elementi da parata, di sicura correlazione con il carro rinvenuto”. Molto probabilmente – anche perchè nell’insieme delle raffigurazioni è stata trovata l’immagine di un’erma femminile, il materiale iconografico si riferisce a un mito religioso, in modo unitario e convergente.