Con un dipinto di Giulio Aristide Sartorio. Nominato insegnante dell’Accademia di Belle Arti di Roma, nel 1915 parte volontario nella prima guerra mondiale, dove viene ferito e fatto prigioniero. Trascorre due inverni nel campo di concentramento di Mauthausen ed è poi liberato grazie all’intervento di papa Benedetto XV, quindi torna al fronte come disegnatore e pittore. Di questo periodo sono le illustrazioni di ventisette episodi bellici, ora nella Galleria d’arte moderna di Milano, di un realismo fotografico.
STILETTATE
di Tonino Zana
Ascolto le notizie terribili dell’Ucraina e prevale l’idea di una spallata. Sopravanza la resistenza e viene, quasi, a ergersi come un desiderio, purché finisca la strage, purché non siamo sottoposti a una tortura quotidiana di brutte notizie. In questa guerra mediatica, noi ci sentiamo offesi alla pari di chi muore. Eppure basterebbe cambiare canale, farsi sordi alle cattive notizie. Invece esigiamo la vista del peggio e ci lamentiamo di una sofferenza di cui non misuriamo l’entità.
Si può soffrire e non conoscere quanto si soffre?
Il confine dell’Occidente si pone anche su questo versante, vorremmo e non vorremmo, ci spetta il sangue dell’altro e appena sentito lo rifiutiamo. Non è forse un male, questo, che proviene da altri pianeti, oltre la guerra? Ogni tanto penso a una guerra nata prima dell’invasione, aspettata con un’indignazione scarsa e combattuta. Dovrebbe essere chiaro il torto e invece no, si discute, il sangue sparso viene annacquato da altro sangue consumato un secolo fa. I morti ucraini stanno lì, in mezzo alle strade, i morti russi stanno lì pari pari ai morti ucraini in mezzo alla strade e noi li visitiamo, televisivamente, alla maniera di un film.
In questa guerra orrenda, la prima guerra mondiale in televisione, noi esigiamo di esserci e pretendiamo di non soffrire oltre misura. Corriamo l’immenso pericolo di pretendere un patire a centimetri.
Loro, i soldati degli eserciti, i bambini della guerra, le donne e gli anziani della guerra cadono come non è mai caduta una persona in guerra, davanti a tutti. Non è una vergogna questa visione? Non è vergognosa la nostra pretesa di soffrire a misura?