Tobia e l’angelo è un dipinto a olio su tela (96×126 cm) di Giovanni Gerolamo Savoldo, databile al 1527 circa e conservato nella Galleria Borghese.
STILETTATE
di Tonino Zana
Una sera, un amico si lamentò di una ingiustizia divina: perché lui ha sofferto meno di me? Ragionavamo sulla croce uguale per tutti e mi rispondeva con l’indicazione precisa e curata di una disparità. Non c’erano repliche, rinviavo a chissà che cosa e intanto gli promettevo di pensarci su.
Aldo ha ragione, nella vita non tutti patiscono nello stesso modo. E, dunque, la democrazia del patire e del gioire è da collocare in un altro posto. Per i credenti, il tribunale del giudizio universale metterà i conti in ordine e la sofferenza maggiore sarà una entrata certa di maggiore merito. E se non ci fosse il Tribunale del Cielo?
Allora rispondo al mio vecchio amico che secondo me va così: non esiste un appello, una cassazione, neppure un giudizio formale, di sicuro compare dentro di noi la risposta imposta della coscienza e ognuno viene a conoscenza, precisamente, dei suoi torti e delle sue ragioni, dei suoi misfatti. Dunque, se gli accade di vivere la morte, di sentirla arrivare, di conviverci per delle ore, lì sta la resa di conti. Chi avrà sofferto di più soffrirà di meno e chi ha ingannato e ha sotterrato il talento nella terra patirà quel tanto da cui neppure la morfina può farci un bel niente. A meno che, muoia d’un colpo, allora patirà prima, nella vigilia preannunciata sotto forma di istinto, di preveggenza, secondo torpore, inquietudini e apparizioni dei visi maltrattati. Qualcosa del genere. In ogni caso, nessuno se la cava gratis e porta via le malefatte. A ciascuno il suo. Per certo, per coscienza, per sentito dire da dentro. Lo sappiamo, lo sentiamo, lo vogliamo.