Agli intellettuali di sinistra non piace la dichiarazione: “Amo gli impressionisti“. Sono cent’anni che è così. Ma perché? Perché un’arte straordinaria finisce per essere il grande amore inconfessabile da parte del pubblico?
L’Impressionismo, come ben sappiamo, nacque in Francia a partire dagli Sessanta dell’Ottocento e fece la propria ufficiale apparizione nel 1874, con la mostra di alcuni importanti pittori, tenuta nell’atelier fotografico del fotografo Nadar, a Parigi. In quella mostra vennero esposte le opere di trenta artisti tra cui Paul Cézanne, Edgar Degas, Claude Monet, Berthe Morisot, Camille Pissarro, Auguste Renoir e Alfred Sisley. La mostra suscitò scandalo perchè, di fatto, i pittori presentarono – in alcuni casi – come finiti, appunti sintetici o bozzetti o impressioni.
L’atto d’avanguardia fu, insomma, quello di credere in opere non troppo elaborate o sfinite sotto il profilo tecnico. Ciò che contava, sempre più, era l’impressione immediata della natura, ricevuta dal pittore e gettata sulla tela. Il primo sguardo – anche se poi le opere venivano portate in studio per la finitura che non era sempre rapidissima, come crediamo generalmente – consentiva di rivelare l’anima e la struttura del paesaggio stesso e a comunicare la bellezza abbacinante della natura e dei giardini.
Dopo le prime opposizioni dei critici ufficiali degli anni Settanta dell’Ottocento – molto legati alla pittura accademica e alla pittura pedagogica legata alla Storia – l’Impressionismo divenne amatissimo dal pubblico e si diffuse come linguaggio ottico portante che percorse, seppur tra mille contestazioni, il Novecento, diventando il linguaggio preminente dell’Occidente liberal-democratico. Gli impressionisti – e soprattutto quelli legati a Monet e Renoir – cercavano la gioia dell’istante luminoso sia in natura che – nel caso di Renoir – in case di campagna, in cui donne e bambini manifestavano la felicità d’esistere.
L’Impressionismo fu al centro – negli ultimi anni dell’Ottocento e per il Novecento intero – delle critiche demolitive che giungevano da critici, pittori e politici dell’area socialista e marxista. Facile capire il perchè. I pittori impressionisti, a giudizio delle sinistre, dipingevano gioie ottiche per borghesi e aristocratici e rappresentavano il lato bello del mondo, senza descrivere conflitti sociali o lotta di classe. E’ soprattutto la lotta di classe ad ossessionare i marxisti e, poi, i socialdemocratici a noi contemporanei. Tutta l’arte deve – a loro giudizio – essere pedagogica, contenere una morale, essere impegnata socialmente e portare al compimento della loro utopia: la dittatura del proletariato, che è, in realtà, la dittatura di filosofi e pedagoghi d’area marxista, sul mondo. L’arte marxista e socialdemocratica – anche oggi – deve essere al servizio del politicamente corretto. Deve essere provocatoria – o fingere di esserlo -, infastidire i borghesi – ma quali? – funzionale e funzionalista, cioè utile all’industria globalista, in quanto essa compie ricerche su forme e design che possono essere riprese e utilizzate, senza spese di ricerca, nell’ambito produttivo. Non deve essere necessariamente bella, ma essere – sempre – pedagogica. Quindi deve occuparsi di ecologia, dei diritti dei neri, dei diritti degli immigrati, di femminismo, femminicidio eccetera -. Non che questi diritti non siano fondamentali. Lo sono. Ma non devono essere oggetto ossessivo dell’arte moralista, che nega ogni altra forma di espressione.
La critica marxista risparmiò alcuni impressionisti o loro “compagni di strada” che parlavano – anche – di povertà o di prostituzione, considerata frutto del mercimonio borghese. I marxisti e loro epigoni socialdemocratici tendono a salvare, in quegli anni e in quella temperie- Degas o il poco impressionista Toulouse-Lautrec.
E’ interessante notare quanto anche i nazisti o fascisti – le cui radici traggono linfa da un analogo humus marxista – non amassero l’impressionismo. Ed è per questa somma di ragioni – che dipartono, in un modo o nell’altro, dalla figura di Marx e dalle sue idiosincrasie proiettate nel futuro – che l’impressionismo rimane – anche oggi, pur essendo amatissimo – un desiderio ottico proibito e, pertanto, inconfessabile.