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[S]ono le tortore – e non, comunemente, come si ritiene le colombe – a rappresentare il livello più alto ed eterno dell’amore, la fedeltà, il pensiero costante che si estende persino al di là della morte, la monogamia naturale e sempiterna, non perchè imposta da codici morali, ma perchè avvertita come unica, naturale relazione di coppia. La tortora è l’eternità del sentimento; la bianca colomba, che pur rappresenta il legame matrimoniale, sia per il proprio comportamento sessuale, nella realtà, che per il suo essere legata alla figura di Venere e di amore, tende a rappresentare più l’acutezza del sentimento – quello che noi definiremmo innamoramento – che la stabilità di un amore duraturo.
Con il tempo, i significati simbolici delle coppie di questi volatili si sono sovrapposti -con netta attribuzione di grandi e duraturi valori sentimentali alle candide colombe – ma il loro valore simbolico, per quanto contiguo è originariamente molto diverso. Nel suo Bestiario- una breve raccolta contenuta nel corpus vastissimo degli scritti del maestro – Leonardo da Vinci mette a fuoco con chiarezza la diversa emanazione simbolica che corre tra le tortore e le colombe.
Sono le tortore a rappresentare l’eterna fedeltà che nasce da un sentimento alto ed eterno, fedeltà che il maestro rende con il termine di castità.
“La castità. La tortora non fa mai fallo al suo compagno, e se l’uno more, l’altro osserva perpetua castità, e non si posa mai su un ramo verde e non beve mai acqua chiara” scrive Leonardo.
Le colombe rappresentano invece l’ingratitudine, l’incesto.”Ingratitudine. I colombi sono assimiglianti alla ingratitudine imperrocchè quando sono in età che non abbino più bisogno d’essere cibati, cominciano a combattere con il padre, e non finisce essa pugna insino a tanto che caccia il padre e tolli la mogliera facendola sua“.
Le attitudini aggressive, fino ad infliggere la morte del compagno o della compagna, al di là dell’antica e autorevole testimonianza, sono state osservate anche da chi scrive questa breve nota. Una bellissima coppia di colombi candidi, acquistati affinchè rendessero animato il giardino con gli allegri bei, liberi voli che si concludevano sempre con il ritorno nella piccola casa-colombaia, costruì, con rametti e piume, un accogliente nido, in cui depose e accudì un uovo che si dischiuse e dal quale uscì una femmina. Quando la colombina diventò più grande, lei e il padre accecarono mortalmente la madre e formarono una nuova coppia.
Le colombe sono simbolo del matrimonio. Qui vengono quasi calpestate da Cupido, che ha travolto, con la passione per Paride. la serenità coniugale di Elena. La sottrazione di Elena al marito e il trasferimento a Troia con Paride diverrà il casus belli tra greci e troiani
Fu probabilmente per questo trasporto inizialmente eccessivo, per la grande fecondità delle coppie, che andava però prendendo altre strade, secondo le frecce dell’incostanza, che esse furono attributo d’Amore e Venere. Nelle illustrazioni erotiche del Settecento e dell’Ottocento le candide colombe rappresentaronol’esempio dell’esuberanza sessuale di coppia, e il loro candore a la loro bellezza pareva accendere un comportamento imitativo, in cui il furore della passione risultava più forte dell’amore.
Diversa connotazione, ha assunto, nella storia dei simboli, la colomba singola. Essa è colei che indica la terra e la pace dopo il diluvio o, nei battesimi incarna, con il suo candore l’azione dello Spirito Santo.
si lamenta per Giuliano de’ Medici
E’ il 26 aprile 1478. Lorenzo de’ Medici, in compagnia del fratello Giuliano, entra, come è solito fare, nella cattedrale di Firenze per la messa domenicale. Sembra una mattina come le altre, ma non è così. Quello è infatti il giorno scelto dalla famiglia Pazzi per rovesciare la Repubblica, che di fatto è una signoria medicea, e prendere il potere nella città toscana. Perchè ciò si possa avverare è necessaria l’eliminazione dei due nobili.
Nel momento più solenne della celebrazione, mentre il vescovo alza al cielo l’ostia proferendo la Benedizione, i congiurati sguainano le spade, uccidono Giuliano, allora solo ventiquattrenne, e feriscono Lorenzo, che si rifugia in sacrestia. La folla fugge in preda al panico, certa della morte dei due signori. Solo in seguito il Magnifico si affaccia sulla piazza principale, rivelando di essere sopravvissuto.
La vendetta contro i traditori è molto dura: in poco tempo vengono emesse più di ottanta condanne a morte, tra cui quelle che riguardano i principali esponenti della famiglia Pazzi, da cui la congiura prende il nome. Il 26 aprile diventa da allora, e lo rimarrà fino alla fine della Signoria, giorno di lutto in ricordo dell’assassinato.
Sandro Botticelli, che è l’autore di un Ritratto postumo di Giuliano de’ Medici, ricorre nella creazione dell’opera ad alcuni dei simboli che caratterizzano il genere del quadro di lutto: a cominciare dalla presenza in primo piano, ben in vista, di un ramo secco, metafora della vita perduta ormai per sempre, essendo il ramo stesso staccato dal tronco e quindi impossibilitato a rigermogliare in una futura primavera. Inoltre l’aspetto mesto dell’effigiato – spiritualmente velato dall’indefinitezza della sua condizione, ormai non più appartenente all’ordine umano – rispecchia il dolore d’essere stato privato della vita.
Giuliano guarda verso il pavimento, con tristezza. Un’atmosfera luttuosa, rafforzata dalla presenza di una tortora che, con il suo canto malinconico e ripetitivo, ricorda apertamente il pianto che finisce in un incessante lamento. L’immagine è in bilico tra passato e presente, vita e morte; così anche le imposte, alle spalle del soggetto, sono per metà chiuse e per metà aperte. Il paesaggio è negato. Emerge soltanto un lacerto di cielo.
Le tortore, per la loro fedeltà, appaiono anche in racconti di natura religiosa,come nella “Fiorita di leggende” del sacerdote Giuseppe Stocchiero, con il fine di richiamare un grande amore ricco di fedeltà, in questo caso nei confronti di Cristo e della Chiesa, contro l’eresia.
La Madonna si trovava sotto una palma presso una fonte, a Menfi. Stava tessendo una tunica per il figlio. Due tortore andarono a posarsi sulle sue spalle, ma mentre una rimase a far compagnia a Maria, l’altra volò via dopo pochi secondi. La Madonna la chiamò, allora, per farla tornare ma questa, per dispetto, volò ancor più lontano fino a raggiungere un vecchio tempio pagano in rovina. Lì vivevano alcuni uccellacci maleducati che, non appena la videro, cominciarono a burlarsi di lei. Un corvaccio le si avvicinò e iniziò a beccarla strappandole tutte le penne più belle e provicandole brutte ferite.
La sera, stanca, affamata e dolorante, la tortorella decise di tornare presso la casa della Madonna per ritrovare la compagna. Iniziò a picchiettare con il becco sul vetro, finchè San Giuseppe non se ne accorse e le aprì la finestra. Gesù si prese cura di lei, lavò le sue ferite e le diede da mangiare. Finalmente ritrovò anche la compagna la quale le chiese cosa mai fosse andata a fare in quel posto, e dopo essersi fatta raccontare tutto l’accaduto, le consigliò di non farvi più ritorno.
Ma questa non volle ascoltarla e il giorno dopo decise di tornare. Fece male perchè venne nuovamente picchiata e derisa. Tornò più veloce che potè alla casa della Madonna, e si fermò sul ramo di un albero e piangere. Non volle entrare. Fu in quel momento che giunse il corvo rosso del tempio il quale, approfittando dell’occasione, non si fece scrupoli e la divorò sotto gli occhi attoniti dell’altra tortorella.
Questa leggenda nasconde, tra le righe, un rapporto conflittuale ancora esistente, all’epoca della sua divulgazione, tra paganesimo e cristianesimo: il primo visto come un argomento dal quale stare alla larga, il secondo il porto sicuro nel quale potersi rifugiare e cercare protezione.
SAN FRANCESCO E LE TORTORE
“ANIME CASTE, HUMILI ET FIDELI”
E’ scritto nei Fioretti di San Francesco: Uno iovane aveva preso un dì molte tortore, quali portando a vendere, si scontrò in San Francesco, il quale aveva sempre alli animali singulare pietà, massime alli animali mansueti. Però riguardando quelli uccelli con gli occhi pietosi et mansueti, disse: “O iovane da bene, priegoti darmi queste tortore, chè uccelli sì… innocenti – che sono assimilate ad l’anime caste, humili et fideli – non vengano ad mano di crudeli, et siano malamente uccise.
Subito il iovane, ispirato da Dio, liel diede. Ricevute che l’ebbe in grembo, cominciò dolcemente a parlare con loro: “O sorelle mie tortore semplici innocenti et caste, perchè voi vi lasciate così pigliare? Or ecco, scampare vi voglio dalla morte, et farvi nidi, acciò che facciate frutto, come comandato da Dio. Crescete, moltiplicate, ringraziate il vostro Creatore, et riempite la terra.
Onde a tutte fece nido, et, usandovi,cominciarono a far de l’uova, poi de’ figliuoli innanzi a’ frati. Et così dimesticamente usavano et stavano con san Francesco et con li altri frati, come se fossino state galline, sempre notricate da loro, nè mai si partivano fino che san Francesco con sua benedizione die’ loro licenzia che si partissino.Al iovane che liel diede, disse: “Figliuolo, tu sarai ancora frate di questo ordine, et graziosamente servirai a Iesu Cristo”. Così fu, perchè il detto iovane si fece poi frate, et gran tempo santamente ne l’ordine visse. A laude di Iesu Cristo”.
LE DUE TORTORE NELLA NATIVITA’ DI LORENZO LOTTO
LA COLOMBA DALLO SPIRITO SANTO
E DELLA PACE
Generalmente la colomba bianca, isolata, rappresenta lo Spirito santo – come ben ricordiamo in Piero della Francesca – quindi l’azione che Dio compie sull’uomo, eliminando il peccato originale rendendo la sua anima candida come il piumaggio delle colombe. In sè il volatile riunisce l’appartenenza al mondo del cielo, il candore immacolato e la luce metafisica.