La tenuta è di foggia militare, ma del tipo “comodo”, la cravatta è perfettamente annodata sotto il colletto inamidato della camicia, lo sguardo è diretto con franchezza all’osservatore. Ma rimane tutto lo squallore del carcere, dalle scabre mura della cella, il giaciglio sfatto, la cassa usata come sedile, i ceppi che stringono le caviglie, sottolineano la durissima condizione del prigioniero: così il grande pittore lombardo Francesco Hayez sul finire degli anni Venti dell’Ottocento ritrae il conte Francesco Teodoro Arese Lucini (Milano 1778-1836), militare napoleonico poi coinvolto nei moti risorgimentali, in un dipinto divenuto celeberrimo sia per la sua originalissima storia, sia per la sua intrinseca potenza espressiva.
Dalle ore scorse il ritratto è visibile all’inizio del percorso degli Uffizi, in cima allo scalone lorenese. Dopo un “tour” in vari comuni toscani, sarà permanentemente esposto nella Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti.
L’acquisizione del Ritratto del conte colonnello Francesco Teodoro Arese Lucini in carcere di Hayez consente così alle Gallerie degli Uffizi di arricchire il proprio patrimonio con un’opera fondamentale, non solo per il suo valore pittorico, ma anche per il suo forte significato storico e politico in relazione ai moti risorgimentali.
In questo dipinto emerge infatti la capacità di Hayez, tra i maggiori interpreti del Romanticismo italiano e internazionale, di esprimere, insieme, le speranze e le delusioni del Risorgimento italiano.
L’olio su tela si caratterizza per la sua carica rivoluzionaria: fu lo stesso Arese Lucini, “nobile gentiluomo”, come lo definì Hayez, che, da membro dell’aristocrazia, volle rompere le ingessate convenzioni della ritrattistica scegliendo di farsi raffigurare in catene (anche se al momento in cui il dipinto venne eseguito la pena si era effettivamente già conclusa). Si trattò, in tutta probabilità, di un tentativo di riscatto sociale, che il conte volle affidare al geniale tocco del pittore lombardo. Ex colonnello napoleonico, il conte Arese aveva partecipato ai moti risorgimentali del 1820-21 finendo sotto processo e subendo due anni più tardi una condanna a morte. La pena capitale fu però convertita in tre anni di detenzione nel lugubre penitenziario austriaco dello Spielberg (lo stesso in cui Silvio Pellico scrisse il suo celebre diario, Le mie Prigioni), sui monti di Brno, dopo che, durante il processo, il conte colonnello aveva riferito alla corte tutto quello che sapeva degli altri accusati, giustificandosi con la propria presunta incapacità a mentire.
Fu anche facendosi ritrarre in veste di ‘martire carcerario’ dall’Hayez, che l’Arese-Lucini riuscì, con grande efficacia comunicativa, a mostrare all’opinione pubblica un’immagine delle sue condizioni di prigionia, tale da dissolvere tutte le ombre e i dubbi sul proprio comportamento processuale.
Il protagonista del dipinto fu un appassionato collezionista e generoso mecenate. Nel corso della sua vita, infatti, Arese Lucini ebbe modo di acquistare altri capolavori di Hayez, come la prima versione perduta del Il Conte di Carmagnola mentre sta per essere condotto al supplizio, raccomanda la sua famiglia all’amico Gonzaga, ultima scena della tragedia di Alessandro Manzoni, esposto a Brera nel 1821, e nel 1832 il Ritratto di Carlo Prayer nel personaggio di Alp (Il rinnegato veneto).
Il direttore delle Gallerie degli Uffizi Eike Schmidt: “Arese, condannato per aver partecipato ai falliti moti anti-austriaci del 1820-21, rivelò i nomi dei cospiratori e di Federico Confalonieri, professando un’impossibilità di mentire che certo lo salvò dalla condanna a morte, ma non da anni di carcere durissimo che minarono gravemente la sua salute. Il dipinto riassume mirabilmente la vicenda e le ragioni del conte, ma soprattutto offre a Francesco Hayez, il più grande pittore del Romanticismo italiano, la possibilità di misurarsi con la psicologia del personaggio e di offrire una delle prove più alte della sua produzione pittorica. Le Gallerie degli Uffizi si arricchiscono così di un capolavoro riprodotto nei più importanti testi sull’Ottocento”.