Un monumento funerario e la base di un’urna recante un’iscrizione sono stati sequestrati e consegnati ieri 18 aprile al Museo nazionale e Area Archeologica di Altino, dai Carabinieri del Nucleo per la Tutela del Patrimonio Culturale (TPC) di Venezia, a parziale conclusione dell’indagine ‘Altino ritrovata’, coordinata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Treviso. L’individuazione dei beni, provenienti da contesti funerari dell’antica Altinum, è avvenuta grazie alla strutturale collaborazione con la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per l’Area metropolitana di Venezia e le province di Belluno, Padova e Treviso. Lo comunica il Comando Carabinieri TPC.
“Il primo reperto – spiegano i carabinieri – è un monumentino funerario lapideo, è composto da due leoncini accovacciati, collocati con funzione apotropaica a guardia di un cippo anepigrafe, dotato al centro del lato superiore di un foro con tracce di metallo per il fissaggio di un ulteriore elemento di coronamento; i leoni trovano confronto iconografico con un coperchio di urna proveniente dalla necropoli della via Annia”.
“Il secondo – proseguono i carabinieri del nucleo Beni culturali – è una base in pietra di un’urna funeraria, con cavità quadrata a bordi rilevati per le ceneri del defunto sulla parte superiore, due fori simmetrici con tracce di metallo per il fissaggio del coperchio o del coronamento e iscrizione dedicatoria:
SIPPIAI P(ubli) L(iberta) CLARAI
P(ublius) SIPPIUS P(ubli) L(ibertus) SECVNDVS
Si tratta della dedica alla defunta Sippia Clara da parte del dedicante Sippio Secondo, entrambi liberti di un ‘Publio’, e dunque appartenenti a una fascia di committenza relativamente modesta. In territorio veneto il nomen SEPPIVS ricorre in alcune iscrizioni funerarie da Concordia Sagittaria, Oderzo e Padova e indica una gens plebea di origine osca. Ciò conferma l’ormai assodata prevalenza onomastica di famiglie residenti ad Altino di origine centro-italica, a seguito dell’apporto demografico nella compagine sociale altinate di veterani, artigiani e mercanti; mentre i cittadini di origine locale, venetica o celtica, non usavano esteriorizzare le sepolture con monumenti fuori terra, se non con semplici segnacoli o ciottoli”.
Dalle indagini è emerso che i due preziosi reperti siano stati verosimilmente rinvenuti ad Altino nel corso di lavori agricoli, ai primi del ‘900. Al ritrovamento, mai denunciato alle competenti autorità, sono seguiti alcuni ‘passaggi di mano’ anche familiari, sino ad arrivare all’attuale detentore in provincia di Treviso. Quest’ultimo, individuato casualmente il bene presso locali ricevuti in eredità, ha segnalato immediatamente il rinvenimento alla competente Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per l’Area metropolitana di Venezia e le province di Belluno, Padova e Treviso.
“Quest’ultima, come previsto, – dicono i carabinieri – ha informato il Nucleo CC TPC di Venezia, che ha avviato le indagini del caso. In particolare, gli accertamenti condotti dai Carabinieri hanno permesso di appurare che la pregressa detenzione dei reperti archeologici in questione era sprovvista della necessaria documentazione attestante la legittima proprietà. La normativa vigente, infatti, prevede sui beni archeologici italici una presunzione di appartenenza allo Stato. Il privato che intenda rivendicare la proprietà di reperti archeologici è tenuto a fornire la prova che gli stessi gli siano stati assegnati in premio di ritrovamento, o che gli siano stati ceduti dallo Stato, o che siano stati in proprio, o altrui possesso, in data anteriore all’entrata in vigore della Legge n. 364 del 20 giugno 1909″.