Trovano questa cavità. Di cosa è piena? Non sono uova di misteriosi animali. E allora a cosa serviva? Rispondono gli archeologi

Scavi e avverti la presenza di una cavità e rallenti il ritmo per trovare il punto migliore in cui forzare. Ed ecco cosa ti appare. Non è un buco scavato da qualche animale che doveva deporre le uova. E non è una tomba. Ma è una cavità realizzata dall’uomo circa 4500 anni fa, nel corso di un preciso rituale, in un mondo dominato da spiriti che si muovevano nella quinta naturale e tra gli oggetti.

Nel cuore dell’Alentejo, in Portogallo, il sito archeologico di Perdigões è uno dei più affascinanti e complessi insediamenti preistorici d’Europa. Tra le numerose strutture e deposizioni rinvenute in questo luogo, l’indagine della Fossa 91, attualmente in corso da parte di Era Arqueologia, ha rivelato particolari significativi sulle pratiche funerarie e sulle concezioni del rapporto tra umano e oggetto nelle comunità preistoriche. Situata nella parte centrale del complesso di Perdigões, la Fossa 91 fa parte di un contesto più ampio di deposizioni di cremazioni umane, caratterizzate da un trattamento rituale che mette in discussione le distinzioni nette tra vivente e inanimato.

Il luogo dello scavo: Perdigões

Perdigões è un vasto complesso archeologico datato tra il tardo Neolitico e l’età del Rame (circa 3400-2000 a.C.). Situato nell’area di Reguengos de Monsaraz, il sito si estende per oltre 16 ettari e comprende strutture circolari, fosse e necropoli, tutte testimoni di pratiche culturali complesse e riti funerari distintivi. Gli scavi condotti nel corso degli anni hanno portato alla luce numerosi resti di ceramiche, utensili in pietra e metallo, oltre a prove di scambi commerciali con comunità lontane.

Le deposizioni di cremazioni umane

La Fossa 91 – spiegano i ricercatori di Era Arqueologia – si inserisce in un contesto di deposizioni legate a pratiche funerarie complesse. I resti umani cremati non erano semplicemente lasciati nei luoghi di cremazione e coperti, ma venivano trasportati all’interno di grandi vasi ceramici verso la fossa. Ceneri e resti venivano poi deposti in una fossa, mentre la ceramica utilizzata per il trasporto delle ceneri, dopo l’uso, veniva “disattivata”. Questi contenitori, simbolo di una transizione tra la vita e la morte, non venivano conservati intatti; anzi, erano intenzionalmente frammentati dopo essere stati svuotati dei resti. Alcuni frammenti di queste ceramiche rimanevano nei contesti originari, mescolati ai resti umani cremati, mentre altri venivano accuratamente raccolti, impilati e depositati all’interno – in questo caso – della Fossa 91.

Ciò che rende questa pratica particolarmente interessante è il trattamento rituale riservato agli oggetti. I frammenti delle ceramiche, che avevano partecipato al rito funebre, venivano trattati con lo stesso rispetto e attenzione dei resti umani. La Fossa 91 appare quindi come un luogo di sepoltura per gli oggetti che avevano avuto un ruolo nel rito di passaggio. In alcune di queste ceramiche frammentate erano ancora presenti tracce di resti umani, un dettaglio che suggerisce un’intima connessione tra il defunto e l’oggetto.

La fluidità ontologica tra umano e oggetto

L’analisi dei ritrovamenti della Fossa 91 offre un’importante chiave interpretativa delle concezioni ontologiche delle comunità preistoriche di Perdigões. Il trattamento simile riservato agli oggetti e ai resti umani, spiegano gli archeologi di Era, evidenzia una visione del mondo lontana dalle categorie rigide e separate tipiche della modernità occidentale, in cui l’umano e l’inanimato sono distinti. In queste comunità preistoriche, al contrario, emerge un’idea di fluidità ontologica, dicono gli archeologi portoghesi, in cui la distinzione tra essere umano e oggetto non era così netta.

Gli oggetti che partecipavano ai riti funebri sembrano essere investiti di una qualche forma di sacralità o anima, come se condividessero con i defunti una parte del loro essere. Questa concezione – a giudizio degli archeologi portoghesi – non solo suggerisce una parità ontologica tra umano e oggetto, ma si manifesta in pratiche rituali come la frammentazione intenzionale, che può essere vista come una metafora del ciclo di vita e morte. Proprio come i corpi umani, anche gli oggetti erano destinati a essere “sepolti” dopo aver compiuto la loro funzione nel rituale, diventando simboli stessi del passaggio”.

Un ritorno alla contemporaneità semiotica

Questa visione preistorica sembra oggi lontana dalla nostra comprensione, influenzata dal pensiero cartesiano che separa nettamente la materia dalla coscienza. Tuttavia, alcuni studiosi contemporanei, come coloro che si occupano di semiotica e studi postumanisti, stanno riscoprendo simili concetti di parità ontologica. L’idea che gli oggetti abbiano una “vita propria” e che partecipino attivamente alla costruzione di significati culturali è tornata al centro del dibattito filosofico e antropologico.

La Fossa 91 di Perdigões, con i suoi resti di ceramiche frammentate e ossa umane, diventa così non solo una testimonianza di antiche pratiche funerarie, ma anche un richiamo a un modo di vedere il mondo in cui l’umano e l’inumano erano profondamente intrecciati. Anche nel mondo romano troveremo comportamenti di sacralizzazione rituale degli oggetti e, soprattutto, uno spartiacque profondo tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Le stoviglie per il pranzo funebre o per le libagioni venivano lasciate nell’area cimiteriale o gettate nei fossati che circondavano lo spazio sepolcrale. Gli oggetti utilizzati per il culto o le lucerne, durante le riorganizzazioni degli spazi stessi, venivano prelevati e sepolti in una fossa. Nessun materiale sacro poteva uscire dalla necropoli o da un tempio ed essere semplicemente gettato via, ma doveva essere sepolto all’interno del recinto sacro.

Cosa sono le favisse romane?

Le favisse romane erano cavità o fosse, solitamente situate nei pressi di templi o santuari, utilizzate per il deposito rituale di oggetti sacri o votivi. Questi oggetti, come statue, utensili o offerte votive, non potevano essere semplicemente gettati via una volta danneggiati o non più utilizzabili, poiché avevano acquisito un valore sacro. Perciò, venivano collocati all’interno di queste favisse, che fungevano da luoghi di “sepoltura” per oggetti dedicati agli dei.

Le favisse non avevano solo una funzione pratica, ma avevano anche un’importanza rituale: assicuravano che gli oggetti sacri non venissero profanati e che continuassero a rispettare il loro ruolo all’interno del culto religioso. Molti di questi depositi rituali sono stati rinvenuti durante scavi archeologici presso templi in Italia, offrendo preziosi indizi sulla religiosità e le pratiche votive dell’antica Roma.

Queste cavità erano spesso collocate sotto il pavimento del tempio o in un’area adiacente, e potevano contenere una vasta gamma di oggetti, compresi strumenti liturgici o offerte votive come statuette, monete e altri ex-voto.

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Redazione
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Stile Arte è una pubblicazione che si occupa di arte e di archeologia, con cronache approfondite o studi autonomi. E' stata fondata nel 1995 da Maurizio Bernardelli Curuz, prima come pubblicazione cartacea, poi, dal 2012, come portale on line. E' registrata al Tribunale di Brescia, secondo la legge italiana sulla stampa