Dylan Herbert, un biochimico in pensione del Galles del Sud, volontario nell’ambito degli scavi archeologici di Vindolanda – un forte romano in Gran Bretagna – ha compiuto la scoperta nelle scorse ore. Una pietra, con un fallo in rilievo, E una scritta. Genere di caserma, verrebbe da dire. Ma del resto è proprio così. Siamo in un accampamento militare romano di 1700 anni fa. Quindi in un luogo aperto alla bassa gergalità.
Il bassorilievo – realizzato su una pietra calcarea di 40 cm per 15 di altezza – rappresenta una virilità aggressiva, seguita da un’epigrafe: Secondinus cacor, secondo una prima trascrizione compiuta da epigrafisti inglesi.
Cacor potrebbe essere una contrazione di “cacator” e significare “cagone”. Gli studiosi inglesi – in queste ore – hanno tradotto l’epigrafe con “Secondinus stronzo”. E se fosse – collegata all’immagine virile – qualcosa di simile al nostro “cagacazzi”?
L’epigrafe è comunque al centro di studi e di riscontri linguistici, che proseguiranno. Andranno verificate, a nostro giudizio, forme analoghe che possano essere ricorrenti in iscrizioni gergali latine. La pietra andrà rivista, nella parte superiore. E’ scritto con certezza “secundinus” – come dicono gli inglesi – o è “secundus”? Secundus potrebbe essere un elemento di identificazione di un’unità militare? In questo caso potrebbe essere rivista l’ipotesi inglese e sarebbe possibile pensare che il fallo indicasse il Secondo – inteso come gruppo di soldati – e la sua latrina.
“Ho rimosso molte macerie per tutta la settimana e, ad essere sincero, questa pietra si era intromessa sulla mia strada – dice lo scopritore – sono stato contento quando mi è stato detto che potevo sbarazzarmene portandola fuori dalla trincea dello scavo. Da dietro sembrava come tutte le altre, una pietra molto ordinaria, ma quando l’ho girata, sono stato sorpreso di vedere alcune lettere chiare. Solo dopo aver rimosso il fango mi sono reso conto di quanto avevo scoperto e ne sono stato assolutamente felice”.
Andrew Birley, Direttore degli scavi e CEO del Vindolanda Trust ha commentato: “Il recupero di un’iscrizione, un messaggio diretto del passato, è sempre un grande evento in uno scavo romano, ma questo ci ha davvero lasciati sbigottiti, quando l’abbiamo decifrato. L’autore doveva aver avuto, chiaramente, un grosso problema con Secondinus ed era abbastanza sicuro da annunciare pubblicamente i propri pensieri su una pietra. Non ho dubbi che Secundinus non si sarebbe divertito a vedere questa dedica mentre vagava per il sito oltre 1.700 anni fa”.
Il lavoro per la realizzazione di questa “insegna” deve aver richiesto un po’ di tempo allo “scultore”. Una vendetta avrebbe richiesto tale impegno o, più semplicemente, l’epigrafe fu realizzata come indicazione topografica, all’interno del forte?
Considerando gli estesi scavi e ricerche a Vindolanda, che durano quasi 100 anni, non sorprende notare che il sito ha più incisioni di falli di qualsiasi altro lungo la linea del Vallo di Adriano. Questa nuova aggiunta porta quel conteggio fino a 13.