di Stefano Maria Baratti
“Non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili, perché le cose visibili sono di un momento, quelle invisibili invece sono eterne.”
(Paolo di Tarso, Seconda lettera ai Corinzi)
Nell’ambito creativo, la funzione strategica dell’odierno marketing corrisponde al complesso binomio Arte-Azienda e alla visibilità dell’impresa, delineando un’immagine – denominata status symbol – che offre la possibilità di essere competitivi con attributi identitari dell’immagine aziendale. Per molti artisti, come la fotografa e ritrattista riminese Veronica Bronzetti – la cui formazione nasce all’interno di una cultura manageriale in veste di Communication e Marketing Manager – si manifesta saltuariamente una radicale rivalutazione del proprio mestiere, sottraendolo alla riduttiva definizione di “artista commerciale”. Da questo presupposto nasce l’esigenza di ampliare o trasformare certi canoni del valore economico imprenditoriale – in primo luogo quelli della moda e del design – tramite la creazione di esperienze che colpiscano nel profondo la sfera dell’emotività piuttosto di limitare il proprio output ad attributi oggettivi della produzione di contenuti. L’artista concentra con perseveranza la sua raffinata ricerca – percepita maggiormente come evoluzione del proprio percorso – elaborando un efficace scavo intimistico volto a esplorare aspetti psicologici caratterizzati da sottili emozioni, tensioni, sentimenti e inquietudini, nonché da motivazioni estetiche, grazie alla ricerca di schemi compositivi insiti nel campo del linguaggio visivo. Questo “momento inevitabile”, sintesi essenziale della propria espressività, si dissocia parzialmente – e in certi casi completamente – dalla cultura del consumatore. L’impegno e la creatività originariamente destinati alla realizzazione standardizzata di un prodotto, vengono recuperati e trasferiti nella fase di sperimentazione che è alla base di qualsiasi emancipazione artistica.
L’opera riportata qui sopra, intitolata Femme assise sur un sofa, è un classico esempio della valenza sperimentale, e leitmotiv, nella composizione di Veronica Bronzetti, la cui cifra ideale è spesso una linea di contorno che si flette dinamicamente per descrivere ininterrotti tracciati curvi. In questo caso, la simmetria delle mani sembra delimitare una lettura verticale dell’immagine che denota, senza peso visivo, un’assenza di gravità. Le gambe, a causa del campo prevalentemente nero in alto, sembrano “sollevarsi” dal pavimento invece di abbassarsi sul divano, sovrapponendo segni di un’eleganza tipicamente femminile e seducente – codificata dall’incrocio delle gambe e dagli attributi della consueta foto da mannequin – fino a incontrare la posizione inconsueta delle mani, un gesto che segnala l’interruzione del linguaggio pubblicitario e l’incipit dello spirito di ricerca personale.
Nella storia dell’arte vi sono esempi di artisti provenienti da ambienti industriali che avvertono un momento epifanico, un frangente di intuizione improvvisa che matura un diverso stato di consapevolezza, quasi un attimo trascendente o quantomeno una dimensione percettiva più ricca e fertile di quella formativa. Basti citare il pittore Francis Picabia, dopo un notevole successo come illustratore, che nel 1910 entra in contatto con Marchel Duchamp, con l’Orfismo cubista e con il fotografo Stieglitz per avviare a Zurigo la sua ricerca nella direzione della nascente estetica dadaista. Un esempio tratto dal contesto fotografico contemporaneo è invece quello di Helmut Newton, l’interprete dello Zeitgeist, che con ironia e teatralità ha ridefinito lo spirito dei tempi e superato il concetto di fashion photography con una molteplicità di prospettive tratte da un repertorio voyeuristico femminile al di là dei parametri di banale sensualità, diventando protagonista assoluto delle trasformazioni sociali improntate a una nuova identità e ruolo della donna. Parallelamente, le varie tematiche che percorrono trasversalmente il linguaggio di Veronica Bronzetti si dissociano dal tradizionale input figurativo di stampo aziendale affiancando alla propria attività commerciale – dedicata alle comunicazioni massmediatiche – un lavoro personale rivolto all’esplorazione dell’emotività umana, soprattutto quello dell’universo interiore femminile, attraverso una fonte d’ispirazione che richiama in larga misura la sensualità naturale di Man Ray. Gli scatti dell’artista riminese esaltano e nel contempo trascendono il fattore estetico, concentrando la sua raffinata ricerca in un linguaggio fotografico che da un lato interpreta la figura umana sotto varie forme di manipolazione della luce – organizzate con sequenze di esposizioni multiple con eventuali interventi grafici – e dall’altro addentrandosi occasionalmente in un’analisi di esterni, per individuare spazi, ruoli e valori associati a una lettura “en plein air”.
L’artista riminese, avvalendosi di occasionali frequentazioni con altri fotografi (tra i quali Maurizio Galimberti e Giovanni Gastel), condivide spunti relativi alla tecnica analogica e digitale, nonché dall’immediatezza della Polaroid. I suoi soggetti si distinguono sia in una visione geometrica di volumi e solidi nella consistenza intatta della composizione, sia dissolvendo le forme tramite una «scia dinamica», tracciando la tensione percettiva del movimento di un corpo ottenuta con sovrimpressioni e doppie o lunghe esposizioni. Si recuperano risultati che variano dagli effetti di sequenze stroboscopiche svolte dalla seconda metà dell’Ottocento (le «cronofotografie» di Marey che fissavano le varie fasi del movimento), ai primi anni del Novecento (il ritratto “fotodinamico”di Umberto Boccioni) fino alle escursioni nella profondità della psiche di Francesca Woodman e Duane Michals, immagini fuori fuoco e soggetti mossi su alte velocità rispetto ai tempi di esposizione della pellicola.
Se fotografare per la polivalente Veronica Bronzetti equivale a una sua (cit) «fuga dal reale», la tecnica della multiesposizione proietta, con il suo oscillare, le impressioni ricevute dalla realtà verso un punto di mobilità che rifiuta la consistenza intatta della forma, conferendo all’equilibrio originale una stabilità sfuggevole, una sensazione di “sbilanciamento” e di “incompiutezza”. Data questa prospettiva, le differenti tendenze caratterizzate dallo sviluppo logico della fotografia commerciale (da fashion photography a food photography) non sono tuttavia inconciliabili contrapposizioni con le ricerche artistiche del suo bagaglio culturale e della crescente mediazione dialettica. In questi frangenti, il concetto di fotogenia viene inteso da un lato come appropriatezza della rappresentazione – frutto dell’adeguato utilizzo dei mezzi tecnici a scopo commerciale – e dall’altro come sintesi di forme essenziali che puntano il loro obiettivo in un’arte fondata sul pensiero e non più su un equivoco piacere estetico a uso esclusivo del consumatore.
Nel ritratto editoriale della figura umana l’artista propone un gioco di colori, luci e ombre, pieni e vuoti, contrasti e toni insoliti che mirano ad ampliare l’espressività del corpo e il dettaglio anatomico e fisionomico (nei parametri di un ordine compositivo incentrato in una forma grafica «gradevole»), mentre nelle sue multiesposizioni subentra un’arte figurativa che rompe ogni equilibrio di forme, prediligendo il bianco e nero al colore, l’idea e la riflessione ai motivi iconografici tradizionali, e ricorrendo a una scelta stilistica sul potenziale della luce con contrasti e scale di grigi che dilatano il linguaggio pubblicitario. Con un percepibile distacco dalla fotografia diretta e aleatoria dello street photographer, ogni ritratto è il retaggio di un impegnativo studio preparatorio elaborato da luci artificiali dove si riuniscono gli elementi della composizione in una salda compagine che non si arresta alla mera rappresentazione fisica del soggetto, ma lo diversifica insistendo sulla dimensione psicologica accentuandone i legami di mediazione con la fotogenia del modello.
Particolarmente interessata alla ritrattistica femminile e alla capacità della multiesposizione di conferire all’opera “invisibili” impalcature di schemi compositivi dinamici (l’uso asimmetrico di campi e controcampi nella medesima inquadratura), Bronzetti dedica una consistente serie di scatti che hanno come soggetto l’espressività della figlia Massimilia – suo alter ego, modella e musa ispiratrice – protagonsita di composizioni attentamente studiate in ogni dettaglio costruttivo, in cui pose, sfondi, colori, luci e composizioni ritmiche appaiono meditatamente calibrati a un preciso concetto narrativo, mai ripetitivo e sempre variamente alternante.
In pose statiche, poco o quasi per nulla artificiose, che mostrano i vincoli di questo rapporto tra madre e figlia nel contesto della rappresentazione scenica, la composizione è quasi sempre avvalorata da elementi e intervalli di una grammatica visiva e simmetrica, con uno sguardo fisso e fermo del soggetto che si autodetermina e «penetra» con un forte magnetismo quello dell’osservatore. Nella sua compiutezza, il binomio tra verità e bellezza, espresso da Massimilia con sensualità naturale nella maggioranza dei casi si fonde, dilatandosi, nell’inquadratura della madre che inserisce – grazie a multiesposizioni e grafiche, fasi di movimento e proiezioni di fotogrammi dinamici, ottenendo delle varianti iconografiche elaborate in un disegno complesso tale da sondare ed esaltare la quotidianità del significato per rivelare il carattere inquietante del significante. Di fronte a questa sensazione diafana di movimento, l’osservatore percepisce le fasi della sequenza trasferendo il concreto (il soggetto rappresentato) nella contiguità spaziale del suo movimento (l’effetto della «scia» causato dai lunghi tempi di esposizione).
Alla capacità espressiva dell’immagine tradizionale imposta dai limiti del design industriale, si sostituisce un aspetto esistenziale e metafisico. L’artista trascende l’estetica in un concetto di «multiverso», vale a dire un’ipotesi della fisica moderna che postula l’esistenza di universi coesistenti fuori del nostro spazio-tempo, spesso denominati «dimensioni parallele», dove passato, presente e futuro si fondono e si confondono.
Grazie a questo rapporto sineddotico (il rapporto «parte-tutto»), gli scatti della fotografa riminese manifestano un processo psichico – quasi un logotipo – attraverso il quale possiamo mentalmente associare due realtà differenti, ma dipendenti o contigue, delle ipotesi di paralleli iconografici tra alcune sue opere «macchiniste» (nell’accezione di design industriale) con ulteriori scatti esenti da rapporti esplicativi, e che sembrano, direttamete o indirettamente, esserne l’ispirazione.
Mettendo a confronto certi dettagli e soluzioni decorative con le ricerche stilistiche, sopralluoghi e fattori compositivi, emergono delle componenti del linguaggio visivo dell’artista caratterizzate da moduli espressivi (ad esempio la modella che solca lo spazio della sfilata di moda oppure un piatto composto da vari ingredienti) che non si oppongono ma si collegano alle indagini di studio esaminate in una serie di iniziative, tra le quali un ciclo di frammenti intitolato Ars Minima, unitamente a un luogo adibito ad attività di workshop e laboratori con sede Rimini chiamato Spazio Mimesi, e infine grazie a una sua recente mostra, Preesistenze, che la vede protagonista in “Sicilia Imago Mundi”, con un grande cartellone espositivo del Med Photo Fest 2019.
Il contributo artistico di Veronica Bronzetti, grazie a un’appropriata riuscita tecnica ed estetica e a un nitore intellettuale e compositivo, fa rivivere nelle sue inquadrature dall’esecuzione forbita, ora misteriosa ora erotica, per certi versi magica, lo statuto della fotografia contemporanea attraverso una «realtà parallela» quale parafrasi di un mondo invisibile a occhio nudo. L’artista riminese è capace di andare oltre i limiti della fashion photography e delle superfici dell’immagine editoriale per attingere alla profondità dell’io, tale da celebrare nella sua compiutezza un rapporto intimo di fotogrammi che sintetizzano un percorso mentale, sia visuale che psicologico, dell’universo femminile in continua evoluzione.
Veronica Bronzetti, fotografa. Universi coesistenti tra forma e contenuto
Se fotografare per la polivalente Veronica Bronzetti equivale a una sua (cit) «fuga dal reale», la tecnica della multiesposizione proietta, con il suo oscillare, le impressioni ricevute dalla realtà verso un punto di mobilità che rifiuta la consistenza intatta della forma, conferendo all’equilibrio originale una stabilità sfuggevole, una sensazione di “sbilanciamento” e di “incompiutezza”. Data questa prospettiva, le differenti tendenze caratterizzate dallo sviluppo logico della fotografia commerciale (da fashion photography a food photography) non sono tuttavia inconciliabili contrapposizioni con le ricerche artistiche del suo bagaglio culturale e della crescente mediazione dialettica