di Silvia Casagrande
[I]l lento passaggio dalla contemplazione mistica del gotico internazionale alla visione stanziale e umana del Rinascimento italiano è segnato anche dal ritorno di un ideale di donna reale: non più angelica, ma creatura palpitante e viva nella sua “verità” più palese, espressa dall’eleganza delle vesti e soprattutto dall’imponenza delle acconciature. L’analisi della capigliatura femminile, con la varietà di fogge preziosamente testimoniate dai pittori del tempo, concorre, parallelamente all’analisi del costume, a identificare variazioni di stili in ambito artistico. Il gusto oltremontano imprime alle acconciature dei primi decenni del Quattrocento lo slanciato verticalismo del gotico fiorito; l’influenza francese è particolarmente significativa in Italia settentrionale, e curiosi copricapo detti “alla di là”, alludendo alla loro origine straniera, compaiono sul capo delle donne. Le teste femminili sono adornate di lunghi coni hennin, costituiti da tela inamidata, rivestiti di tessuti preziosi e con lunghezze variabili. Nel cosiddetto Cassone Adimari, un pannello conservato alla Galleria dell’Accademia di Firenze e presumibilmente opera di Giovanni di ser Giovanni detto lo Scheggia, fratello di Masaccio, sono riportate diverse tipiche capigliature dell’epoca. La maggior parte delle nobildonne porta i capelli a sella, un’acconciatura formata da due corni, ricoperta da reti gemmate e veli preziosi. La dama all’estrema sinistra indossa invece il balzo, un copricapo rotondeggiante tipicamente italiano, che troviamo nominato già nel XIV secolo e diffuso fino alla metà del Quattrocento per lo più in area settentrionale. Pisanello, definito da Roberto Longhi “l’ultimo guardarobiere di corte”, è il pittore di casa nostra che meglio interpreta il glamour dell’epoca. Nell’affresco San Giorgio e la principessa (Verona, chiesa di Sant’Anastasia), egli dipinge sul regale capo della donna uno dei più mirabili esempi di balzo della storia dell’arte. In virtù di un’armatura interna di giunco, rivestita di tessuto, capelli posticci e seta, il balzo poteva avere dimensioni notevoli.
La figura femminile ne risultava così allungata, grazie anche alla fronte resa più spaziosa dalla rasatura dei capelli. I canoni estetici del tempo esaltano certe parti del corpo, come appunto la fronte, associate all’idea di purezza e di splendore. In Toscana la dolorosa e difficile depilazione, chiamata scorticatolo, era compiuta con l’applicazione di ceroni a base di calce. Nella seconda metà del Quattrocento, con il prevalere del gusto classico, anche l’acconciatura femminile volge a una ritrovata naturalezza. Copricapo esageratamente alti sono abbandonati, e tra le giovani donne si diffonde l’uso di capigliature semplici: i capelli, divisi sulla fronte da una scriminatura centrale, sono avvolti sulla nuca in un chignon, con pochi riccioli sciolti che ombreggiano le guance. Giovanna Tornabuoni, ritratta da Domenico Ghirlandaio nella celebre tela del 1488, testimonia questa usanza. Gli unici accorgimenti consentiti, per completare e arricchire l’elementare acconciatura, sono preziosi ornamenti e sottilissimi veli. I copricapo più frequenti sono le cuffie e le berrette. Le cuffie di lino bianco incorniciano il viso, scendendo con due lembi, eleganti e sobri, sulle guance. Un bellissimo esempio ci viene offerto del ritratto di Simonetta Vespucci di Botticelli. Un altro elemento importante dei corredi femminili è il sugacapo, originariamente semplice panno da avvolgere intorno ai capelli dopo il lavaggio, poi popolare copricapo diffuso più nel centro che nel nord Italia. Una lettera di Ludovico il Moro, scritta nell’aprile del 1491 a Isabella d’Este, ci informa che Beatrice e Isabella d’Aragona in un giorno di pioggia erano uscite per la città “cum li panicelli, sive sugacapi, in testa”, ma non essendo a Milano consuetudine “de andare cum li pannicelli”, ebbero da azzuffarsi per strada con alcune donne che le avevano beffeggiate. Verso la fine del secolo compaiono pettinature ancora più semplici. Le innovazioni nell’ambito della tessitura portano alla produzione di reti di filato di seta estremamente sottili. Alla fine del Quattrocento, da questa particolare rete, i capelli si lasciano ricadere sulle spalle stretti in una lunga coda – il coazzone – o sciolti e avvolti in un leggero tessuto – il trenzale – legato con nastri decorati con perle. Una delle prime testimonianze figurative di questa moda è la Dama con l’ermellino di Leonardo. La pettinatura liscia, coi capelli raccolti in un velo teso, è serrata sulla fronte da un nastro detto ferronière (o lenza), dal nome della sua ideatrice Madame Ferron, una delle amanti di Francesco I re di Francia. Spesso nel mezzo della ferronière era appesa una gemma senza castone o un diamante solitario. In nessun altro Paese d’Europa, dalla caduta dell’Impero romano in poi, si era dato tanto risalto al pregio della figura, al colore delle carni e alla ricchezza dei capelli, quanto nell’Italia del Quattrocento. La bellezza femminile era considerata espressione della gentilezza interiore, garanzia dunque di virtù morale e fonte di ispirazione per poeti e pittori. La pelle doveva essere rigorosamente bianca, i capelli biondi, le labbra e le guance rosee. L’ideale estetico, dunque, imponeva alle donne italiane di sottoporsi a infiniti tormenti per schiarire la chioma e ingentilire l’incarnato. E lo storico Josef Macek giustamente si domanda: “E’ stata la moda ad influenzare la creazione artistica o sono invece stati gli artisti ad imporre al pubblico il loro ideale di bellezza femminile?”.