“Una delle caratteristiche del meraviglioso è di essere prodotto, certamente, da forze o da esseri soprannaturali, i quali però sono, appunto, una moltitudine. E una traccia di questo fatto può essere individuato, credo, nel plurale mirabilia del Medioevo. La realtà è che non soltanto abbiamo un mondo di oggetti, un mondo di azioni diverse, ma che dietro di essi c’è una molteplicità di forze. Ora, nel meraviglioso cristiano e nel miracolo c’è un autore, e uno solo, che è Dio”.
Così scrive lo storico francese Jacques Le Goff (J. Le Goff, Il meraviglioso e il quotidiano nell’Occidente medievale, Laterza) a proposito del concetto di meraviglioso che caratterizzò il Medioevo cristiano. Anche gli oggetti possono essere causa di meraviglia e per tale motivo, in questo periodo, si raccolgono e riutilizzano nelle chiese e nei conventi opere d’arte antiche (spesso trasformandone la funzione e rivestendole di un nuovo significato religioso), oggetti mai visti prima, provenienti dall’Oriente e portati dai Crociati (come coccodrilli imbalsamati o ossa di balena, subito collegate a quella biblica di Giona) e soprattutto reliquie, dal potere magico e taumaturgico, che vanno dalla scaglia di granito creduta parte della colonna della flagellazione di Cristo alle parti del corpo di un santo. A tutte queste rarità l’oreficeria fa da supporto prezioso, trasformandole in vere e proprie opere d’arte. E’ così che il meraviglioso, spesso parte di quella natura così temuta ed ammirata perché opera di Dio, entra in stretto contatto con l’arte, diventando l’uno in funzione dell’altra. Se meraviglie e mostruosità della natura vengono portate in chiesa, come le ossa di balena molto diffuse nelle chiese romaniche italiane, ma non solo (famosa la costola della balena di Giona nella chiesa di Halberstadt, in Germania, dove si trova anche un’ascia preistorica di pietra, creduta, fino al Settecento, una concretizzazione del fulmine), oggetti e materiali “esotici” diventano splendidi capolavori nelle mani di abili artigiani o ornamenti simbolici oggetto di rappresentazioni artistiche.
E’ celeberrimo, nel Quattrocento, l’uovo di struzzo dipinto da Piero della Francesca nella Pala di Brera, dove l’uovo è indispensabile per dimostrare la resa della scena in profondità e allo stesso tempo allude alla nascita di Gesù e all’araldica dei Montefeltro (fu il duca Federico a commissionare l’opera). Le uova di struzzo vengono tagliate per farne preziosi calici e reliquiari. L’oro e l’argento, splendidamente lavorati, diventano braccia o teste di santo per riceverne le reliquie. E’ un’arte raffinata quella che viene prodotta in età medievale: essa contribuisce allo splendore del rituale liturgico e regale e richiede pertanto l’intervento dei migliori artefici. Questi ultimi devono essere edotti in varie tecniche, dal disegno del progetto iniziale, alla modellatura, al lavoro decorativo a sbalzo o mediante incisione, cesellatura, intaglio, traforo, incastonatura di pietre e così via. La raccolta di oggetti di natura molto diversa, di materiali preziosi e rari nelle chiese e nei santuari medievali anticipa, come già rilevarono agli inizi del secolo scorso Murray e Schlosser, quelle raccolte d’arte e di meraviglie che caratterizzeranno il collezionismo pubblico e privato fino al Settecento e che avrà la sua manifestazione più interessante nelle ‘Wunderkammer’. In quest’ultimo caso si tratta di un interesse verso i prodotti del regno minerale, vegetale e animale, legato ad una curiosità e ad un senso della meraviglia che conduce verso nuove sperimentazioni e conoscenze (per esempio verso l’esplorazione di nuovi mondi), ma che non possiamo considerare estraneo al mondo dell’arte, perché di questo stesso mondo partecipa, diventandone protagonista. Infatti, da sempre, il gusto e la cultura del committente contribuiscono alla creazione artistica ed alla produzione di alcuni oggetti piuttosto che altri e allo sviluppo di nuove tecniche. E i tesori di chiesa, vere e proprie raccolte di rarità e preziosità, costituiscono in molti loro aspetti l’origine di quella che sarà l’esposizione museografica fino al Settecento, anche nelle scelte espositive, che rispondono di fatto a criteri museografici. Si pensi, per esempio, agli ‘armaria’ o ‘repositoria’, come l’armadio-reliquiario dipinto da Taddeo Gaddi in Santa Croce a Firenze e i vari ‘retablos’ e i ‘Flügelaltare’, dietro alle cui preziose carpenterie dipinte si celano le reliquie dei santi, in una sorta di allestimento-inventario, molto scenografico.
Se lo sviluppo del collezionismo ebbe il suo inizio nelle ricche dimore di papi e sovrani trecenteschi – fra tutti il raffinato Jean de Berry, fratello di Carlo V di Francia, che si circonda di artisti ed opere d’arte, commissionando, tra le altre cose, splendide miniature e oggetti che appartengono alle così dette “arti minori”, come astucci, specchi, bariletti d’avorio, mele d’argento o d’ambra, che uniscono alla preziosità del materiale l’abilità della lavorazione nell’intento di raccogliere il meglio offerto dall’arte e dalla natura -, esso proseguì poi negli studioli di corte quattrocenteschi e nelle Wunderkammer cinquecentesche, per continuare, con vari mutamenti, fino al Secolo dei Lumi, quando i termini “meraviglia” e “curiosità”, fino a quel momento elementi importantissimi per lo sviluppo delle scienze, tenderanno a scomparire dalla storia del collezionismo. Il libro di Adalgisa Lugli, Naturalia et mirabilia, da poco riedito da Mazzotta, ripercorre con intelligenza e curiosità la storia del collezionismo enciclopedico nelle Wunderkammer d’Europa, ricordandoci come “anche il collezionista è autore, se pur in modo mediato, e la sua opera, le sue qualità inventive si esprimono tutte nella singolarità delle scelte e nell’immagine complessiva alla quale tende”. E quello sguardo meravigliato sul mondo che ha costituito per secoli uno dei momenti più alti della conoscenza ed è stato all’origine del collezionismo e dell’idea stessa di museo, è passato anche nell’esperienza degli artisti del Novecento, in un lungo percorso che va dal Medioevo fino ai giorni nostri. Adalgisa Lugli, Naturalia et Mirabilia. Il collezionismo enciclopedico nelle Wunderkammern d’Europa, Mazzotta, pp. 245.
Praga, quando una Wunderkammer è grande come una chiesa intera
Carlo IV di Boemia, uomo di grande cultura e amante del bello, chiamò alla sua corte artisti di ogni nazionalità. La cappella della Santa Croce a Praga, Castello di Karlstejn, è un luogo straordinario, dove le reliquie raccolte dall’imperatore ricevono una sistemazione organica: dall’altare, dove le reliquie più importanti sono associate alle insegne imperiali, si procede verso le pareti laterali, quasi interamente coperte da tavolette dipinte, opera del Maestro Teodorico, con la rappresentazione di sante e santi (disposti in ordine: i cavalieri, le vergini, le vedove, i vescovi, gli abati benedettini, gli apostoli e i testimoni del mistero della Croce). Molte delle tavolette conservano la reliquia del santo rappresentato incastonata nella cornice lignea. Pietre semipreziose e una cupola con dischi di vetro bombato e dorato contribuiscono a creare un senso di splendore e di meraviglia. La cappella costituisce un raro esempio dove devozione e scrupoli classificatori si uniscono in una sintesi originale.