Nuove ricerche nell’antro del tesoro. Un luogo nel quale riporre, con sicurezza, i guadagni, in un periodo infausto, caratterizzato da rapine e invasioni. Così qualcuno, si ritiene attorno al V secolo della nostra era, pensò di rimuovere – evidentemente andò così – il tesoro da casa o da un edificio religioso e affidarlo a un luogo più protetto e non frequentato. Si inerpicò, con un sacchetto di monete, per un ripido pendio che corre accanto a una parete del fiume Nalò – che scorre là in fondo -e raggiunse l’antro, che si addentra per 16 metri dal punto d’accesso. Questa cavità, a cui si accede da un ripido pendio argilloso coperto di vegetazione, era evidentemente conosciuta dagli abitanti, ma non sarebbe stata oggetto di controllo, nel caso di un’invasione. L’uomo cercò un punto tra le rocce, che avesse un fondo chiuso e che si comportasse un po’ come una vasca. Depose le monete e le coprì accuratamente con terra e sassi.
Chi fece questa operazione morì o fu deportato o fuggì senza più fare ritorno.
Il tesoro è rimasto lì per più di 1600 anni, fino a che un tasso nostro contemporaneo, sì proprio l’animale, raschiando il fondo della grotta alla ricerca di radici – fuori tirava un vento freddissimo di un inverno rigidi come pochi – si è imbattuto in pezzi metallici che, a suo giudizio, – e fondatamente, dal suo punto di vista – non avevano alcun valore. Ciò è avvenuto tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera scorsa in Spagna. Qualche giorno o settimana dopo, un abitante della zona, Roberto Garcia e due archeologi decisero di fare un giro perlustrativo nella grotta di La Cuesta ( Berció, Grado, Asturias).
Fecero qualche passo, all’interno della cavità, e videro qualcosa di assolutamente assurdo: alcune monete con l’inequivocabile patina verdastra, nel terreno smosso. Fu qualcosa di onirico. Messe lì, in superficie, come in uno scherzo. In pochi istanti, considerati i segni inequivocabili degli unghioni di un tasso, ai tre risultò più chiaro quant’era successo. Un tasso, evidentemente affamato, aveva scavato il terreno alla ricerca di cibo, nel punto in cui la grotta è ancora rischiarata dalla luce e dove crescono erbe e arbusti. Durante lo scavo, l’animale si era imbattuto nel tesoretto che, in parte aveva rivoltato, forse alla ricerca di qualche larva.
E’ stato così avviato il lavoro di scavo con il supporto del Ministero della Cultura del Principato delle Asturie. Gli archeologi poterono recuperare un totale di 209 monete, battute in un periodo compreso tra il III e il V secolo d. C. Molte romane, altre provenienti dalla Britannia o di Antiochia.
Poiché il tesoro non comprendeva monete successive al V secolo, gli archeologi hanno ipotizzato che le monete fossero state nascoste nella grotta alla luce dell’imminente arrivo degli Suebi, popolo germanico che invase la Spagna nel 409.
Il pozzetto in cui il tesoretto era stato riposto ha una profondità di circa 40 centimetri. Gli studiosi pensano che il pozzetto fosse, in origine, molto più alto e che probabilmente quello trovato sia stato solo un deposito secondario. Dalla primavera, allora, si riparte.