Stile intervista l’artista Stefano Maria Baratti
Iniziamo con una breve scheda anagrafica. Nell’ambito dell’espressione artistica può immediatamente specificare il suo orientamento stilistico ed espressivo?
Fatta eccezione per gli studi cinematografici che ho intrapreso negli Stati Uniti, la mia formazione artistica è quasi interamente da autodidatta. Sono nato e vissuto a Perugia, dove fino dalla più tenera età ho avuto occasione di esplorare ed acquisire le prime tecniche rudimentali, soprattutto grazie ad un giovane artista perugino, Stelio Maria Taddei, tragicamente scomparso a soli 21 anni, nei primi anni settanta, e saltuariamente frequentando la bottega d’arte del maestro Franco Venanti.
Negli Stati Uniti ho conseguito una laurea in regia cinematografica sotto la guida di Aram Avakian e Willard Van Dyke presso la State University of New York at Purchase. Vivo e lavoro a New York dove opero nel settore pubblicitario, alternando questa attività con quella di soggettista e sceneggiatore cinematografico. Se dovessi specificare un orientamento stilistico, suppongo sia quello dell’arte digitale (ma nell’accezione meno comune del termine, inteso come tecnica mista), sia nelle sue forme più “classiche” (sulla falsariga della pittura e del disegno) che in quelle ritenute più commerciali (come ad esempio le illustrazioni umoristiche).
Malgrado la grafica vettoriale come genere espressivo debba ancora guadagnarsi l’accettazione ufficiale a forme d’arte accademiche storicamente consolidate (come la pittura ufficiale, la scultura, ecc.) sono convinto che nel giro di pochi anni otterrà il dovuto riconoscimento. È ormai inevitabile il connubio tra computer e nuove forme di fruizione, affini ai modi del mezzo espressivo, e non solo come pure di tecnologie elettroniche o informatiche.
Ci può raccontare imprinting visivi, immagini artisticamente ossessive, che hanno preceduto e assecondato la scelta di intraprendere la strada formativa per diventare artista?
Direi l’effetto di uno choc, quando a soli otto anni vidi morire mia madre all’improvviso, e insieme a lei tutto il mondo, preceduto da un’altra immagine ossessiva, quella di un barbagianni che circa una settimana prima della sua morte trovai sotto il mio letto. Suppongo questo sia il trauma, oppure l’imprinting (quasi una visione sciamanica) che può inclinare l’asse della nostra esistenza, sconvolgendo ogni baricentro, e quasi involontariamente preconizzando possibili e/o improbabili orizzonti artistici, come la determinazione della posizione di una nave senza l’ausilio delle stelle. Quindi al buio.
La formazione vera e propria. Dove e su cosa ha particolarmente lavorato? Sono esistite, in quel periodo, infatuazioni espressive poi abbandonate? Come si sviluppa e si conclude – nel senso stretto dell’acquisizione dei mezzi espressivi – il periodo formativo?
Fino ad oggi la mia formazione professionale è nel settore pubblicitario, televisivo e cinematografico, mentre svolgo una modesta attività di illustratore nel genere umoristico tramite delle vetrine virtuali. Esiste inoltre una serie di opere digitali che mio malgrado non ho voluto mettere in vendita.
Le mie infatuazioni espressive sono eclettiche e multimediali, vissute sia scrivendo soggetti drammatici che interpretando i medesimi attraverso schede illustrate (storyboarding), la modalità artistica di visualizzazione grafica costruita per sequenze cinematiche. Forse per questa ragione prediligo tecniche miste, che coinvolgono sia il disegno a mano che l’elaborazione grafica al computer. Ma ritengo l’arte digitale una tecnologia ausiliare, a misura d’uomo. Gli artisti, come il sottoscritto, oggi ne usufruiscono in base ad un rapporto proporzionale al tempo risparmiato durante la lavorazione di un’immagine e alla qualità dei mezzi impiegati. Una sintesi che restituisce in tempi eccezionali progetti che utilizzando metodi tradizionali forse non avrebbero nemmeno superato lo stato embrionale.Paragonerei il computer alla camera oscura che nel diciassettesimo secolo riuscì ad agevolare le opere di Canaletto, Bellotto e Vermeer.
Nell’ambito dell’arte, della filosofia, della politica, del cinema o della letteratura chi e quali opere hanno successivamente inciso, in modo più intenso, sulla sua produzione? Perché?
Nell’arte ho sempre prediletto il contrasto tra sacro e profano, direi soprattutto nell’arte rinascimentale fiamminga e quasi tutto il periodo Barocco, ma non saprei identificare la ragione di questa scelta. Mi affascina la scoperta del quotidiano interpretato anche come natura morta, “Vanitas” o “Memento Mori”, il senso transitorio ed effimero dell’esistenza, veicolato dalla locuzione “Sic Transit Gloria Mundi”. Nella storia della filosofia ha sempre inciso lo stoicismo, soprattutto le opere di Seneca, ma anche i pensatori come Michel de Montaigne. E nelle arti drammatiche il filone tragico-comico. D’altronde, come diceva Bergson: ”Le rire châtie certains défauts à peu près comme la maladie châtie certains excès”.
Ci sono persone, colleghi, collezionisti, galleristi o critici ai quali riconosce un ruolo fondamentale nella sua vita artistica? Perché?
Lo scrittore e poeta molisano Giose Rimanelli, fondamentale nella mia crescita, autore di testi insoliti, sempre in cerca di se stesso, ma senza mai abbandonare le proprie radici culturali, anche lui immigrato negli USA. L’amico montatore cinematografico Pietro Scalia, e il regista Bernardo Bertolucci con il quale ho avuto occasione di cenare a Parigi, parlando soprattutto delle poesie di suo padre Attilio. Sono ruoli fondamentali che sono serviti a sostenermi in momenti critici della mia vita.
Materiali e tecniche. Ci può descrivere, analiticamente, come nasce una sua opera del periodo attuale, analizzandone ogni fase realizzativa, dall’idea alla conclusione?
Se esiste una chiave d’interpretazione del mio lavoro, si tratta forse di un effetto tanto beffardo quanto non intenzionale, derivato dalla degenerazione graduale di un progetto che inizialmente non intendeva essere comico. In questi frangenti, qualsiasi illustrazione umoristica, essendo diametralmente opposta al piano di lavoro originale – e tale da essere facilmente interpretata come un’errore – risulta invece come una vera e propria rivelazione. Dal lato tecnico comincio quasi sempre con il disegno a mano, che poi elaboro con la tavoletta grafica con un software di grafica vettoriale. Non escludo ritocchi con acrilici, o pastelli, dopo la stampa.
Progetti nell’ambito espressivo e tecnico?
Ho cominciato a scattare una serie di fotografie su primi campi del tutto aleatori ed improvvisati, spesso frutto di “errori” (quegli scatti che di norma vengono eliminati dalla memoria del lettore fisso), che voglio elaborare, in modo da ricostruire una realtà precedentemente invisibile a occhio nudo.
Ha gallerie di riferimento? Dove possono essere acquistate le sue opere?
Per le illustrazioni umoristiche in Inghilterra e in Germania, dove sono in vendita le mie immagini soprattutto per l’editoria online, presso www.toonpool.com (dove utilizzo lo pseudonimo “Perugino”).
Indirizzo mail:
sbaratti@aol.com
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L'arte digitale dal respiro classico di Stefano Maria Baratti
Nato a Perugia e trasferitosi a New York dove opera nel settore pubblicitario, alternando questa attività con quella di soggettista e sceneggiatore cinematografico, Baratti lavora sui contrasti o la sintesi tra il segmento tecnologico del presente e la Tradizione. L'artista a Stile Arte:"La mia vita cambiò a otto anni, quando vidi morire mia madre all'improvviso e trovai un barbagianni sotto il letto"