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Il problema del falso in arte risale, come preordinatamente tale – cioè come produzione contraffatta per fini commerciali – al periodo rinascimentale, quando le copie dall’antico si prestarono, attraverso processi anticanti, a rispondere a una domanda che superava la quantità dell’offerta reale di beni archeologici. La contraffazione di dipinti raggiunse i massimi esiti tra il Settecento e l’Ottocento, soprattutto in Italia. Ma in questo articolo, ci occuperemo del grave problema della contraffazione nell’arte contemporanea e del Novecento. Poiché la modernità implica una semplificazione delle tecniche e, in molti casi, è portatrice di un’arte aniconica – cioè priva di figura -o di una rappresentazione sintetica, la replica risulta semplice e meno identificabile dagli strumenti tecnologici diagnostici. Alcuni pittori avallarono, nel Novecento, i propri falsi inducendo collaboratori alla produzione di dipinti stilisticamente molto vicini agli originali d’autore, opere alle quali, poi, i maestri apponevano la propria firma autentica. Questo è il primo esempio, il più complesso, in termini valutativi. L’autenticità della firma e l’elevata plausibilità del lavoro portano spesso a considerare queste opere come autentiche. La falsificazione tecnica risulta piuttosto facile relativamente a produzioni novecentesche, come dimostra l’affaire delle teste di Modigliani. In quel caso non sbagliarono gli storici dell’arte – che valutarono l’opera in base a criteri stilistici -, ma si creò una trappola che sfruttava testimonianze antiche – Modigliani si era disfatto di sculture, gettandole nell’acqua e nei giorni della beffa si procedeva ad interventi di sistemazione del sistema idraulico. Gli storici furono indotti in un errore comprensibile da un gruppo di goliardi, che avevano prodotto una falsificazione plausibile. Modigliani andava semplificando la propria arte, ispirandosi alla statuaria delle popolazioni africane. Le linee erano semplici, sicché l’imitazione risultava efficace. La produzione di falsi nell’arte contemporanea e del Novecento è pertanto tecnicamente semplice, i supporti invecchiati sono facilmente reperibili, i colori non possono rilevare chimicamente difformità, poiché sono frutto di perduranti produzioni industriali, e i guadagni, considerati i tempi di produzione e la sopravvalutazione rispetto a dipinti antichi, altamente lucrosi. In questo ambito una funzione attributiva molto importante è svolta dalle Fondazioni, sorte per tutelare l’immagine del pittore dal quale prendono il nome. Normalmente le Fondazioni sono composte da un familiare dell’artista e da critici che l’hanno frequentato e studiato. Le Fondazioni sono generalmente caratterizzate da criteri restrittivi. Si tende cioè a non riconoscere opere controverse o sperimentazioni, magari autografe, ma non ben documentate o che sfuggano al ricordo personale. Certo è il fatto che un’opera approvata da una fondazione seria ottiene un passaporto di autenticità estremamente valido.
Per quanto tutto risulti falsificabile, è da notare il fatto che, per le opere contemporanee, si tendono a considerare di rilievo dirimente i passaggi di proprietà e, soprattutto, se esiste, una prova di vendita dal gallerista del pittore o dalpittore stesso al primo cliente. Passaporto facilitato per quei dipinti che vennero acquistati dal primo proprietario nel corso di una mostra dotata di un catalogo nel quale appaia l’opera in questione e siano dotati di una ricevuta di vendita di quell’opera stessa. Nelle vendite all’asta, tutti questi passaggi vengono analiticamente documentati. E ciò dovrebbe avvenire in ogni altro caso di vendita-acquisto, non solo con la dichiarazione di autenticità rilasciata dal venditore, ma con il passaggio di tutti i documenti storici che si riferiscono all’opera. In caso contrario essa – per quanto autentica – è molto più esposta ai rischi di “bocciatura” da parte delle fondazioni o dei futuri acquirenti.