E’ Sesto Valerio Poblicola, appartenente a una potente famiglia e alla gens del poeta Catullo, anch’egli un Valerius, l’antico romano proprietario di una grande villa – oggi perduta – proprio nel piccolo centro franciacortino, a Ronco di Gussago, in provincia di Brescia. La villa doveva sorgere nei pressi dell’attuale chiesa parrocchiale. Due imponenti capitelli romani di recupero furono collocati sul sagrato dell’edificio religioso. Nel muro dell’edificio sono evidenti altri elementi lapidei di riuso che denoterebbero una lavorazione romana. La presenza di Sesto Valerio Poblicola a Gussago è dimostrata da una pesante lapide murata nella cella di Giove – quella centrale – del Tempio capitolino di Brescia. La lastra fu trovata nell’Ottocento dal conte Lechi, che la vide inserita come sostegno in un canale, a Ronco. Probabilmente l’epigrafe era una dedica contenuta in un monumento funebre, scomparso, che poteva trovarsi lungo la strada romana. In essa è scritto: “A Sesto Valerio Poblicola figlio di Sesto della tribù Fabia, cavaliere romano, che ebbe fornito dallo stato il cavallo, senatore dei municipii di Brescia, Verona, Trento e Nicomedia, al quale l’ordine senatorio bresciano decretò una statua equestre dorata ed i funerali a spese pubbliche, ed a Clodia Procilla, figlia di Quinto, sacerdotessa della diva Plotina (pose) il figlio Sesto Valerio Poblicola Priscilliano”.
Un’epigrafe, che gli studiosi fanno risalire ad un periodo successivo al 129 d.C., posta dal figlio per commemorare papà e mamma, due componenti di alto lignaggio della società romana dell’epoca. Ma perché era affissa proprio a Ronco? Tale targa dimostra la radicata presenza della famiglia in questa zona, legata a proprietà, terreni.
“Sestio Valerio Poblicola – dice la ricercatrice storica Rinetta Faroni, che ha dedicato al cavaliere un capitolo del suo libro “Brevi di storia. Passato remoto e prossimo a Gussago e dintorni” – era cavaliere e decurione, uno dei cento membri del Senato locale, uno dei primi bresciani assurti al rango senatoriale. Clodia Procilla, sacerdotessa per il culto di Plotina (moglie di Traiano e divinizzata da Adriano)”.
Poblicola era un cognomen molto diffuso tra la gens Valeria, clan familiare patrizio di Roma, molto probabilmente facente parte delle cento gentes originarie ricordate dallo storico Tito Livio.
Una grande famiglia che ha scritto la storia di Roma, protagonista di molte vicissitudini. Vicissitudini che hanno interessato, nel piccolo, anche la lapide di Ronco, andata dispersa per più di mille anni e ritrovata, il 20 novembre del 1816, da Luigi Lechi, patriota e appassionato di storia, per pura casualità. “Durante uno dei suoi numerosi spostamenti – scrive Rinetta Faroni – tra la città e la Franciacorta, Lechi nota, a Ronco, sul ciglio della strada comunale, delle pietre che sostengono la sponda di un fosso parallelo al percorso sterrato. Il suo occhio esperto riconosce la pietra di Botticino e non un banale medolo”, e fa richiesta al Comune di poter prelevare i due pezzi di lapide con l’impegno di riparare la rottura causata. Dagli atti comunali si scopre che i due pezzi di questa epigrafe erano stati utilizzati in precedenza per la costruzione del pozzo di Ronco, demolito più tardi, per poi diventare parte di un muro di contenimento sul ciglio della strada.