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[M]olte e affascinanti sono le congetture che hanno ruotato intorno alla genesi ispirativa che ha condotto Antonio Canova alla creazione del suo capolavoro più celebre, il gruppo marmoreo delle Tre Grazie, concepito su invito dell’imperatrice Giuseppina de Beauharnais nel 1813 e realizzato in quattro anni, poi replicato per il duca di Bedford (oggi i due lavori sono conservati all’Ermitage di San Pietroburgo e alla National Gallery di Edimburgo).
In particolare è ancora attuale, a distanza di quasi due secoli, la curiosità intorno all’identità delle tre fanciulle protagoniste del voluttuoso abbraccio, allusivo e sensuale, che lo scultore ha consegnato all’eternità in questa che rappresenta una delle opere-chiave della sua fortunata avventura artistica, per non dire di un’epoca intera.
Accanto alle discussioni intorno all’ufficialità del loro significato allegorico (forse quello tradizionale delle elleniche Cariti, oppure quello legato alle virtù regali francesi – ricordiamo che la committente dell’opera fu la moglie di Napoleone Bonaparte), permane quella aperta intorno all’identità delle modelle. Certo è che Canova nutriva un trasporto particolare nei confronti dell’altro sesso, e non poche furono le donne con cui egli intrattenne una relazione negli anni in cui prese forma il capolavoro: Delfina marchesa de Custine, la baronessa Minette Armendariz, Juliette Récamier, Teresa Couty, forse la stessa imperatrice Giuseppina…
Tutte donne affascinanti, la cui femminilità non poteva non aver ispirato in qualche modo il grande scultore, il quale, pur avendo studiato appassionatamente l’antico ed interpretando ad altissimi livelli gli ideali neoclassici teorizzati da Winckelmann, sapeva cogliere proprio nella rivelazione quotidiana della bellezza il suo incanto e la sua suggestione, traendone spunto per figure e gruppi di raffinata eleganza, di sensualità sottile ed allusiva.
Si ricollega qui l’ipotesi suggerita dallo storico David Silvagni, che aveva annotato che in un giorno di primavera del 1813, trovandosi Canova in casa di Giuseppe Tambroni (allora direttore dell’Accademia d’Italia), vide la moglie di questi, la bella Teresa Couty, passargli dinnanzi in compagnia di due cameriere mentre svolgevano alcuni lavori domestici. Colpito dalle loro movenze, lo scultore le invitò a fermarsi e a porsi in posa giusto il tempo di abbozzarne i gesti e le forme… Fu così, forse, che furono schizzati gli splendidi bozzetti preparatori delle Tre Grazie, vergati a matita e caratterizzati da grande immediatezza espressiva, che confermano la concezione dinamica di ogni composizione: egli tracciava a più riprese i singoli soggetti, cogliendoli da diverse angolazioni e in differenti pose, al fine di giungere progressivamente alla perfezione del risultato finale, amplificata dalla ricercata levigatezza del marmo.
Questo suo modus operandi tradisce una modernità inedita, che svincola Canova e la sua opera dagli aspetti più rigidi del Neoclassicimo, dissipando l’equivoco nato in epoca romantica intorno all’eccessiva “freddezza” della sua arte.
L'identità delle modelle di Canova. Fu Teresa ad ispirare le tre Grazie?
Analizzando i bozzetti che Canova realizzò per il celebre gruppo delle Tre Grazie, si può rilevare la concezione dinamica della composizione, scaturita probabilmente dall’osservazione di una scena quotidiana