Le acconciature nei quadri del Cinquecento

Gran parte della ritrattistica cinquecentesca dedicata alla bellezza muliebre conferma il ruolo importante della testa, dimora delle qualità intellettuali ed elemento chiave dell’apparire, nella rappresentazione della persona. Il suo privilegio era di poter rimanere scoperta e libera, rispetto al resto del corpo soffocato dalle vesti e completamente rinchiuso in una struttura artificiale

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di Silvia Casagrande

eleonora di toledo[N]el Cinquecento, quando la figura dello stilista come creatore non esisteva ancora, le fogge del vestire nascevano nei maggiori centri di corte, e a diffonderle erano per lo più personaggi di alto lignaggio. Allora, infatti, i sarti operavano seguendo i capricci delle dame e, soprattutto, le direttive imposte dall’etichetta in conformità a un rigoroso “programma di corte”.
L’abito, con il suo complesso sistema di significati e costantemente influenzato dalla sequenza “differenziazione-imitazione-differenziazione”, rispondeva al bisogno della classe agiata di distinguersi elaborando continuamente nuovi status symbol. Ma non solo. Per le nobildonne, escluse dalla vita politica e limitate nelle relazioni, l’eleganza dell’abbigliamento era in definitiva l’unica interferenza nella vita sociale concessa, uno dei pochi strumenti per richiamare l’interesse su di sé. L’imperativo era di essere sempre superlative in fatto di eleganza e di adombrare ogni rivale sul palcoscenico delle apparenze con il fasto delle proprie vesti o, quando non era possibile, con acconciature sempre nuove e sorprendenti.

Gran parte della ritrattistica cinquecentesca dedicata alla bellezza muliebre conferma il ruolo importante della testa, dimora delle qualità intellettuali ed elemento chiave dell’apparire, nella rappresentazione della persona. Il suo privilegio era di poter rimanere scoperta e libera, rispetto al resto del corpo soffocato dalle vesti e completamente rinchiuso in una struttura artificiale.

LEONARDO DA VINCI, Ritratto di Isabella d'Este,1500 ca., carboncino, sanguigna e pastello giallo su carta, cm.63 x 46, Parigi, Museo del Louvre
LEONARDO DA VINCI, Ritratto di Isabella d’Este,1500 ca., carboncino, sanguigna e pastello giallo su carta, cm.63 x 46, Parigi, Museo del Louvre

Isabella d’Este Gonzaga, sposa di Francesco Gonzaga, era considerata arbiter dell’eleganza nelle corti italiane del tempo. La sua inventiva eccelleva in particolar modo proprio nell’elaborazione di nuove e fantasiose acconciature, ambito che le consentiva di muoversi con maggiore libertà. Fu iniziatrice della pettinatura – tanto in voga nei primi decenni del Cinquecento – a capelli lunghi e raccolti in sottili reticelle di seta, come è raffigurata nel disegno di Leonardo conservato al Louvre. L’affermarsi d’acconciature a “capelli sciolti” contribuì a sviluppare una maggiore sensibilità per la cura e l’igiene della chioma; nei lunghi viaggi i cortei erano costretti a frequenti soste lungo la strada per permettere alle dame del seguito di lavarsi la testa.

Nel corso del secondo decennio del secolo Isabella elaborò la “capigliara”, un copricapo in bilico tra la parrucca e l’acconciatura, costituito da un elaborato intreccio di capelli posticci, seta, nastri e gioielli. In principio riservata, come privilegio, solo alle sue dame di corte, divenne presto moda gradita soprattutto a quelle nobildonne la cui capigliatura non poteva dirsi folta. Nel Ritratto di Lucina Brembati del Lotto (1518 ca.), la dama indossa questo tipo di copricapo all’apparenza morbido, assai simile al balzo quattrocentesco, che conferisce nobiltà al suo portamento.

L.LOTTO, Ritratto di Lucina Brembati, 1518 ca, cm.52.6 x 44.8, olio su tela, Bergamo, Accademia Carrara
LORENZO LOTTO, Ritratto di Lucina Brembati, 1518 ca, cm.52.6 x 44.8, olio su tela, Bergamo, Accademia Carrara

Il grande balzo rotondo fu rapidamente soppiantato da una nuova linea ideata da Eleonora di Toledo, sposa di Cosimo I de’ Medici, anch’ella detentrice di eleganza e creatrice di nuove mode. Nel ritratto del Bronzino del 1540 circa, (in alto a sinistra) i capelli della duchessa, divisi alla sommità del capo da una scriminatura, scendono ai lati del viso per essere raccolti in una “scuffia” decorata con perle. La testa prende risalto nella sua forma naturale volutamente disadorna con i capelli serrati e senza acconciatura, con il chiaro intento di evidenziare il contrasto tra il piccolo capo, squisitamente femminile, e l’ambiguo involucro, il corpo, che esso corona.

AGNOLO ALLORI detto il BRONZINO, Ritratto di Eleonora di Toledo, 1545, cm. 59 x 46, olio su tavola, Praga, Narodni Galerie
ALESSANDRO ALLORI, Ritratto femminile, 1560 ca, olio su tela, cm. 66,5 x 49,5, San Pietroburgo, Ermitage

Con l’evolversi del costume in senso emblematico e ideologico, pure il codice comportamentale legato all’abito diviene più sofisticato e intellettuale. La dama completamente rinchiusa in una struttura artificiale riduce e affina le sue possibilità di espressione e di stile attraverso il portamento e il movimento della testa e delle mani. Non a caso, giusto sul capo si concentrano generalmente alcuni dei segni più importanti per comunicare messaggi di diverso tipo, politico e amoroso. Anche le mani sembrano vivere di vita propria, animate dai fazzoletti e dai ventagli, e sottoposte a regole precise su come gestire questi accessori dotati di particolare grazia ed eleganza.
Il Ritratto femminile di Alessandro Allori testimonia come, dalla seconda metà del secolo, prenda forma una pettinatura molto semplice che tende a ridisegnare la linea della testa. Rimane sempre in evidenza la scriminatura centrale, il cui leggero affossamento contiene spesso una perla o un gioiello, ma i capelli sono tirati verso l’alto e non più in basso. Questi nuovi accorgimenti rispondono alla necessità di sviluppare nel senso della massima verticalità un’immagine femminile già appesantita e ampliata dall’abbigliamento, oltre che di adeguarsi all’impiego dei grandi collari inamidati. Le trecce possono avvolgersi in nodi elaborati e serpeggianti partendo da punti diversi del capo, fermate e abbellite da nastri o fili di perle.
Fiori di vetro e altre decorazioni (cristalli, gemme…), uniche eccezioni alla semplicità delle pettinature, contribuiscono a delineare l’immagine della donna idolo più volte menzionata dalla cultura “controriformata” di fine Cinquecento: la luce, specie quella delle torce o delle candele, nel battervi sopra crea un particolare riverbero che si diffonde tutt’attorno al capo delle dame, creando una sorta di aureola, quasi a santificarle. Ai cappelli, assai osteggiati perché appannaggio esclusivo del maschio, vengono preferiti gli ornamenti che contribuiscono a mettere in evidenza in maniera ipertrofica la testa, già isolata dal resto del corpo dall’ampio collare.

Quello femminile, nel tardo Cinquecento, è un sesso in guerra. Il conflitto non è contro nemici esterni, ma principalmente contro se stesso, contro la propria intrinseca natura “cattiva”. La figura è spezzata in due parti. La parte inferiore, costituita dal corpo, reo di scatenare forze negative, incontrollabili e pericolosamente sovversive per l’uomo, tende a essere cancellata o alterata dal disegno complessivo della figura. La parte superiore, la testa sede della ragione in contrasto con la carne mortale, è invece evidenziata ed esaltata nella sua naturalità.
I rigidi collari rinsaldati contribuiscono a creare una sorta di scissione ottica della figura. Il viso sembra essere divenuto il fulcro di tutta la persona, una sorta di sua metafora: la dimora dell’anima.

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