Qual era l’autentico volto di Vivaldi, quello più vicino alla sua reale fisionomia? Federico Maria Sardelli (Livorno, 1963), membro del comitato scientifico dell’Istituto italiano Antonio Vivaldi e responsabile del Catalogo Vivaldiano risponde con un libro, edito da Sellerio, in cui ripercorre il rapporto tra le fonti figurative e la fisionomia del “prete rosso”.
Sardelli – autore dello studio – è direttore d’orchestra e flautista, con prime incisioni ed esecuzioni mondiali tra cui riscoperte e attribuzioni di opere vivaldiane, è un protagonista della rinascita del teatro musicale del Prete Rosso. Ha scritto La musica per flauto di Antonio Vivaldi (2002), e dirige la collana di musiche «Vivaldiana». Fumettista e autore satirico (Paperi in fiamme e Saggi di metafisica neorazionalista con un metodo sicuro per indovinare i gratta e vinci, tra le sue opere), collabora con «Il Vernacoliere» dall’età di 12 anni.
Il libro “Il volto di Vivaldi” – con 130 illustrazioni – ha un approccio interdisciplinare. Parla di pittura, di musica e di storia. Incrocia l’analisi tecnico-scientifica e stilistica dei ritratti con i dati noti o dubbi della biografia, alla ricerca di un volto vero, quello di Antonio Vivaldi, il Prete rosso, il settecentesco creatore delle Quattro stagioni e firma di una moltitudine di musiche barocche che si vanno ancora scoprendo.
Chiunque segua la musica conosce il desiderio bruciante di vedere l’espressione del viso di chi compose una volta certe note che hanno attraversato secoli; e qui i primi capitoli, molto vivaci, indicano i pericoli, i falsi amici, le fuorvianti scorciatoie che l’iconografia musicale può incontrare. Così le pagine iniziali sono piene di buffi abbagli storici e divertenti paradossi che nascono quando si pretende di ricavare le informazioni biografiche e caratteriali dai tratti somatici.
Nel caso del musicista veneziano è ancor più difficile scongiurare le trappole del riconoscimento, dato che Vivaldi, dopo la morte, cadde nell’oblio completo, per riuscirne solo agli inizi del Novecento. Le tracce sono quindi da districare in una serie di dipinti e disegni a lungo anonimi, e in quelli identificati solo due secoli dopo, scoperti per un puro caso e attribuiti con scarso approfondimento. Questo libro intende fare il punto della situazione: quanti e quali sono i ritratti di Vivaldi; quali quelli autentici, dubbi o mal attribuiti. Di ciascuno analizzare il contesto storico, in relazione alla sua vicenda biografica. E per la prima volta indagare chi erano quei pittori e incisori che si cimentarono con il suo volto, perché lo ritrassero, quanto erano capaci e cos’altro erano soliti fare nella propria attività: così contestualizzati quei ritratti ci parlano diversamente. Alla fine si trovano conferme di tradizionali attribuzioni e smentite di altre ritenute sicure, spuntano rarità conosciute pochissimo nonché scoperte ex novo di ritratti finora ignoti, di cui uno forse importantissimo.
Dal libro di Sardelli emerge anche un’indicazione preziosa relativa al rapporto tra Vivaldi e Giambattista Tiepolo. Quest’ultimo – oltre ad essere, di fatto, per questione dello stesso vivificante humus culturale e territoriale a cui entrambi attingevano, un pittore vivaldiano e poi haendeliano, per gioia, grandiosità, senso del fraseggio, cromie chiare e squillanti – offrì quella che può apparire come una fonte iconografica primaria nell’ambito della fisionomia del musicista.
Sardelli condivide positivamente un’ipotesi avanzata da una studiosa della storia vivaldiana, Micky White. La White indica la presenza di un volto evidentemente vivaldiano in una delle opere realizzate da Giambattista Tiepolo nella chiesa della Pietà o di Santa Maria della Visitazione, costruita fra il 1745 e il 1760, su progetto di Giorgio Massari (1687-1766) accanto all’antico orfanotrofio, situato in calle della Pietà, dove nel corso del XVIII secolo aveva prestato la sua opera Antonio Vivaldi.
Vivaldi era morto qualche anno prima a Vienna (1741) e la direzione, di fatto, di numerose attività musicali che si svolgevano nell’orfanotrofio e in chiesa era passata all’allieva prediletta, Anna Maria della Pietà (c.1696 – 1782) violinista, compositrice e insegnante. Molti dei concerti di Antonio Vivaldi erano stati scritti per lei. Giambattista Tiepolo era un coetaneo di Anna Maria – era nato anch’egli a Venezia nel 1696 –.
E’ pertanto è altamente plausibile che il compositore – che tanto lustro aveva dato alle attività musicali delle orfane e a Venezia intera, nel mondo – venisse ricordato in un cammeo, in un dipinto di quella chiesa nuova, concepita come luogo di culto e sala concerti in cui si sarebbero esibite le ex allieve. Come evidentemente plausibile risulta il fatto che il suo volto fosse conosciuto da Giovanni Battista Tiepolo – quando il musicista morì, Giambattista aveva 45 anni – e che la sua fisionomia, in fase di stesura disegnativa, potesse essere corretta ed assestata dal pittore, nei particolari, grazie ad indicazioni che giungevano da Anna Maria stessa o da personaggi eminenti dell’orfanotrofio.
Il presunto ritratto di Vivaldi – che emerge da un gruppo di angeli musicanti nel dipinto l’Incoronazione della vergine (1754 -1755), sul soffitto della chiesa stessa, interpella direttamente lo spettatore come sottolinea giustamente Sardelli, guardandolo negli occhi, da un “dietro le quinte”, “guardando – aggiunge l’autore – “direttamente in camera”.
A ciò va aggiunto che quella presenza in assenza designa una sorta di genealogia intellettuale, che indica nel defunto maestro una sorta di nume tutelare della scuola e delle ex allieve.