Uno studio firmato da Gabriele Scorrano, Serena Viva, Tommaso Pinotti, Pier Francesco Fabbri, Olga Rickards e Fabio Macciardi e pubblicato in questi giorni con il titolo Ritratto bioarcheologico e paleogenomico di due pompeiani morti durante l’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. Rappresentazione scientifica 12, 6468 (2022). https://doi.org/10.1038/s41598-022-10899-1 – illustra una scoperta importante sotto il profilo delle indagini genetiche svolte su resti di individui dell’antichità. Gli studiosi hanno prelevato e “amplificato”, con tecniche innovative, il Dna dalle ossa di due persone morte a causa dell’eruzione del Vesuvio, ricostruendo il genoma di uno dei due. I due scheletri appartenevano a un uomo di circa 35 anni (indicato come individuo A) e a una donna di 50 circa. Le vittime erano nel triclinio – la sala da pranzo – della cosiddetta Casa del Fabbro a Pompei.
“A nostra conoscenza – è scritto nello studio – i nostri risultati rappresentano il primo genoma umano pompeiano sequenziato con successo. Le analisi dell’intero genoma sottolineano che l’individuo pompeiano A è geneticamente vicino ai popoli mediterranei esistenti, principalmente all’Italia centrale e ai sardi”
“I resti umani analizzati provenivano dalla Sala 9 della Casa del Fabbro (Regio I, Insula 10, civico 7), e la loro posizione e orientamento sono compatibili con la morte istantanea dovuta all’avvicinarsi della nube di cenere vulcanica ad alta temperatura. – scrivono gli studiosi – Entrambi gli scheletri sono stati scoperti in posizione anatomica. Erano entrambi appoggiati a un bassorilievo in un angolo di quella che probabilmente era la sala da pranzo, sui resti di un triclinio, una specie di divano o chaise longue utilizzato negli edifici romani durante i pasti. L’individuo A era in posizione coricata laterale sinistra con gli arti flessi, con il braccio e la gamba sinistra a terra e gli arti destri sul triclinio. L’individuo B aveva le braccia raccolte davanti al cranio e le gambe a terra flesse sul fianco destro, con la schiena appoggiata al triclinio. (nella foto, qui sotto ndr.)”
L’individuo A – nella foto, alla nostra sinistra – era un maschio tra i 35 ei 40 anni ed era alto 164,3 cm. L’individuo B – nella foto, alla nostra destra – era una donna di età superiore ai 50 anni che era alta 153,1 cm., “altezze coerenti – scrivono gli studiosi – con le medie di altezza dell’età romana (maschio: 164,4 cm; femmina: 152,1 cm) 22 e con le medie di altezza di Pompei ed Ercolano”.
Il giovane uomo era malato. Lo studio interdisciplinare ha permesso di stabilire che era affetto dalla tubercolosi spinale (morbo di Pott). La malattia di Pott o morbo di Pott, chiamata anche spondilite tubercolare, è una forma di tubercolosi extrapolmonare, provocata dei micobatteri (il bacillo di Koch), responsabili della malattia, nelle vertebre della colonna, che porta a forti dolori, in alcuni casi provoca il gibbo – la gobba – e spesso difficoltà molto serie nella della deambulazione, quando non induce la paraplegia.
Una malattia che, in tempi più recenti, ha colpito anche molti personaggi illustri tra i quali lo scrittore Alberto Moravia, il politico-filosofo Antonio Gramsci, Santa Bernadette Soubirous, il poeta Vincenzo Cardarelli e – casi dibattuti dagli studiosi – probabilmente Giacomo Leopardi e il filosofo Kierkegaard.
Ma torniamo all’indagine sull’uomo di Pompei. Gli studiosi, dopo la ricostruzione del genoma, hanno potuto stabilire che il 35enne aveva le caratteristiche degli individui dell’Italia centrale e condivideva parte del patrimonio genetico presente nella popolazione sarda. Un “italiano” quindi, i cui antenati remoti provenivano, invece, dall’Anatolia, dopo una migrazione arcaica, avvenuta nel Neolitico, in direzione del Mediterraneo e della nostra penisola.
L’estensione delle indagini genetiche sui resti di altri pompeiani morti nel 79 d.C. – ora che è stato aperto questa importante percorso di indagine – potrebbe consentire di capire se questo 35enne fosse – diremmo con una semplificazione che rende evidente, in modo semplice, il concetto – fosse un pompeiano Doc o se si fosse trasferito qui dopo una breve migrazione interna. L’acquisizione – oggi possibile – di dati relativi ad altri pompeiani di quell’epoca consentirebbe, insomma, di capire se questo individuo appartenga alla popolazione locale di Pompei o “se faccia parte – dicono gli studiosi coordinati da Gabriele Scorrano – del 5% dei migranti interni che caratterizzano la popolazione imperiale d’Italia” E’ quindi molto probabile che il 35enne della Casa del fabbro – “non faccia parte delle grandi migrazioni esterne legate alla pratica di asservimento”.