[L]a storia ha dell’incredibile ed è tutta da raccontare. Un uomo è infatti tornato nel parco di famiglia con la mappa del padre e qui vi ha trovato un tesoro sepolto 80 anni prima.
“Dopo ripetute richieste, mio padre, nei suoi ultimi anni, mi ha consegnato una mappa disegnata a mano di un luogo nell’Europa orientale sul fiume Dnestr, che serpeggia verso il Mar Nero. – dice Jan Glazewsky, docente universitario, in pensione, di origine polacca, residente in Sudafrica – La mappa arrivava con una pagina e mezza di istruzioni intitolate Rotta per Toporowno , dattiloscritte con la sua vecchia macchina da scrivere Olivetti, dove le s uscivano sempre sbiadite. Le istruzioni erano datate giugno 1989, quindi Tatusz (papà) ha disegnato la mappa a memoria cinquant’anni dopo essere fuggito dalla tenuta di famiglia allo scoppio della seconda guerra mondiale. La mappa mostrava il luogo in cui lui e i suoi fratelli avevano seppellito l’argento di famiglia prima della loro frettolosa partenza”.
“In quella tarda estate del 1939, mio nonno si era da poco ritirato da Lwów nella fattoria di famiglia dove mio padre – appena sposato, terminati gli studi di agraria – aveva iniziato a coltivare. I tre fratelli di mio padre venivano a trovarli per le vacanze. La famiglia si stava godendo il pranzo domenicale quando un fratello ha sentito alla radio che i russi stavano per invadere la Polonia orientale proprio vicino alla loro fattoria. Lasciando il pranzo in tavola, mio padre, la sua nuova moglie e i suoi fratelli attraversarono il confine meridionale con la Romania. Avevano cercato di convincere mio nonno ad andare con loro, ma si rifiutò di lasciare la sua patria”.
L’invasione sovietica della Polonia ebbe inizio il 17 settembre 1939, sedici giorni dopo l’attacco tedesco alla Polonia, quando le truppe dell’Unione Sovietica, invasero a loro volta il territorio polacco. La campagna si concluse con la divisione del paese tra la Germania nazista e l’Unione Sovietica staliniana.
Temendo l’esercito nemico, i fratelli, prima di fuggire cercarono di mettere in salvo i preziosi. Per i fucili da caccia e l’argenteria e gli oggetti più ingombranti pensarono di scavare una buca nel parco, lasciato crescere romanticamente come un bosco. Tutto fu inserito in una borsa. Poi sepolto. I fratelli ritenevano che si trattasse di aspettare qualche settimana per rientrare a casa. Invece la guerra precipitò. Il padre di Jan ricordava con estrema nostalgia i luoghi della propria infanzia. E avrebbe voluto che, un giorno, i propri figli tornassero là, almeno per recuperare gli argenti della nonna.
Jan, impegnato con il lavoro, riconsiderò la mappa soltanto anni dopo, quando gli impegni all’Università si diradarono, grazie alla pensione. Jan Glazewski è professore emerito di diritto che si è occupato, in particolar modo di giurisprudenza e cambiamenti climatici, di diritto dell’energia e do diritto ambientale. Le sue pubblicazioni recenti e i rapporti riguardano l’area della responsabilità del cambiamento climatico. Jan è stato consigliere speciale dell’ex ministro per gli affari ambientali e il turismo, Mohammed Valli Moosa, nel 2003/4.
Il professore, riducendo gli impegni, decise di pianificare il ritorno per il recupero di quegli oggetti affettivamente così cari. Non fu un’impresa facile. La grande villa era stata rasa al suolo dall’esercito russo. Jan e la sorella riuscirono a farsi riconoscere da alcuni abitanti del villaggio ed ebbero indicazione del punto in cui sorgeva il palazzo. Trovarono una cantina e le fondamenta. Grazie alla posizione di ciò che restava dei muri, nel terreno, e alla mappa fu identificata l’area in cui doveva essere stata sepolta la borsa. Ebbero la possibilità di coinvolgere due persone dotate di un metal detector2.
Dopo alcuni tentativi andati a vuoto, i rilevatori dei metalli iniziarono a segnalare vigorosamente la presenza di metallo nel sottosuolo. Si iniziò così a scavare nel terriccio ed emerse un candelabro d’ottone.
“Il successivo pezzo è stato è un altro candelabro, questa volta d’argento. – dice Glazewsky – L’argento scintillante contrasta con la terra scura. Mi meraviglio delle buone condizioni in cui si trova. Appaiono altri oggetti e poi monete. Mi viene consegnato un cucchiaio avvolto in un giornale ingiallito; il manico d’osso è consumato. Mi meraviglio che il giornale fosse ancora chiaramente visibile e leggibile. Layla ora è immersa fino alle ginocchia nella buca appena scavata e continua a rimuovere delicatamente il terreno. Si toglie un calice d’argento, un candelabro e poi mi porge un portagioie quadrato in argento. Con mani tremanti, lo apro delicatamente. All’interno ci sono alcuni oggetti più piccoli: una brocca per il latte d’argento e un portagioielli molto più piccolo, forse rivestito di ebano, all’interno del quale ci sono alcuni ninnoli e una sorprendente croce d’oro incastonata con ametista. Sento una strana sensazione alla bocca dello stomaco. La mia profonda consapevolezza inconscia che questi erano di mia madre non si è ancora registrata. Questi oggetti sono stati toccati per l’ultima volta da lei, imballati in fretta e riposti con cura in una borsa che è perita nel tempo. Questi sarebbero stati poi portati da mio padre sul campo, giù per il pendio per essere rapidamente seppelliti insieme all’argento di famiglia e ai suoi fucili da caccia”.