di Redazione
Stile arte è un quotidiano di cultura, arte e archeologia fondato nel 1995 da Maurizio Bernardelli Curuz
Pompei, 23 dicembre 2023 – Durante lo scavo di una domus a nord della Casa di Leda e del Cigno, sono emerse nei giorni scorsi 13 figurine in terracotta dalla pomice, rivelando antiche tracce di rituali domestici. La scoperta è stata rivelata in queste ore dal Parco archeologico di Pompei. Le statuine, alte circa 15 cm, sono parte di un antico rituale e sono attualmente oggetto di scavo e conservazione in un’area confinante con la Casa di Leda e del Cigno. Nel contesto dell’attività di scavo, si sta anche implementando un programma per migliorare l’accessibilità e la comprensione del sito.
Le piccole sculture includono rappresentazioni umane, nonché una noce, una mandorla, una testa di gallo in terracotta e una pigna in vetro. Posizionate verticalmente su un piano orizzontale, probabilmente una mensola, le figurine emergono dalla pomice a oltre 2 metri sopra il livello del pavimento. Le pareti dell’ambiente circostante, presumibilmente l’atrio della casa, presentano affreschi, mentre le prime analisi indicano che alcune figurine potrebbero riferirsi al mito di Cibele e Attis, legato al ciclo delle stagioni e alla fertilità del suolo, in particolare all’equinozio di primavera.
Il lavoro in corso si concentra sullo studio degli ambienti scoperti nella Casa di Leda (scavi risalenti al 2018-2019 nel contesto del Grande Progetto Pompei) e su quelli di due case a nord e sud della Casa di Leda, ancora in fase di definizione. Durante la rimozione del materiale nelle stanze della Casa di Leda, è stata scoperta una sala finemente affrescata con quattro tondi raffiguranti volti femminili di eleganza raffinata.
Lo scopo principale dello scavo è consolidare il bordo del sito, delineando il confine tra le strutture esistenti e le aree non scavate, e preservare gli edifici e gli elementi decorativi in preparazione per il futuro accesso pubblico al complesso.
Alcune figure che sembrano rimandare al mito di Cibele e Attis nonché ad alcuni segni e simboli del rito, in cui erano coinvolti i ministri del culto. Il mito è originario della Frigia, in Asia Minore, dove la dea era venerata come Signora della natura, simbolo dei cicli vitali e naturali che contemplano la nascita, la morte e il continuo rinnovarsi della vita stessa. Come tale, Cibele era considerata la dea sia dei vivi che dei morti e veniva venerata sono molteplici valenze in diverse località della Grecia e dell’Oriente.
Durante l’equinozio di primavera, si svolgevano cerimonie funebri in onore della dea, coinvolgendo i sacerdoti noti come Coribanti. Questi rituali comprendevano l’uso di tamburi e canti, spesso raggiungendo uno stato di estasi orgiastica. In alcuni casi estremi, si registravano atti di autoevirazione mediante l’utilizzo di pietre appuntite. Questa pratica è stata descritta da Catullo, che raffigura i Coribanti come eunuchi vestiti da donna. Nei pressi di Avellino, dove oggi sorge il santuario di Montevergine, Virgilio fa riferimento a un antico tempio dedicato alla dea.
Ad Attis, il giovane collegato a Cibele, era dedicato un ciclo di festività che si tenevano fra il 15 e il 28 marzo, e che celebravano la morte e la rinascita del dio. Tra queste vi erano il Sanguem e l’Hilaria.
Dal un lato la “madre” generosa, dall’altro il giovane che muore e rinasce. Cibele e Attis occupano uno spazio cultuale che poi fu sostituito, in diversi casi, da Maria e da Cristo, senza che esistesse una sovrapposizione assoluta tra le diverse figure. I romani, nei secoli successivi, adattarono progressivamente elementi del Cristianesimo, trovando rispondenze sincretiche in più culti di diverse divinità pagane che presentavano caratteristiche che potessero costituire un “precedente” pagano rispetto ai protagonisti del Cristianesimo stesso. In Maria videro una sorta di possibile continuità con Cibele, con Iside ecc. E’ peraltro probabile che il culto dei santi prendesse poi forza dal substrato politeista dei romani, che chiedevano una serie di intermediari “specializzati” a cui affidare le proprie preghiere, come era avvenuto per i numerosi Dei dell’Olimpo romano.
Anche a livello di statuette “presepiali” risultano ora sempre più strette le interconnessioni tra il nostro mondo e quello romano, soprattutto nelle modalità della rappresentazione e dell’evocazione del mondo spirituale. Gli antichi romani creavano, soprattutto a livello dei larari – altarini in cui si onoravano gli spiriti della casa e gli antenati – angoli di raffigurazione dell’immateriale, in cui potevano entrare in gioco dipinti o statuette. Lari e penati erano – in una matassa non facilmente districabile – gli spiriti del luogo e quelli degli antenati. L’angolo con le statuette trovato a Pompei, doveva essere un altarino precipuamente dedicato a Cibele e ad Attis.
E’ quindi possibile che esista una sotterranea continuità di queste pratiche. Ora ci sarà da capire se le 13 statuette contribuissero a creare la scena di un mito o se fossero doni a una divinità. Le prime risposte indicano la possibilità di stretti rapporti funzionali con quello che sarebbe stato poi il nostro presepe.
Secondo gli studi compiuti nelle scorse ore da archeologi e storici che operano presso il Parco archeologico di Pompei, l’insieme delle statuette potrebbe aver voluto rappresentare – come poi sarebbe avvenuto nel nostro presepe – un preciso momento della storia mitica delle due divinità. Gli studiosi affermano che le statuette metterebbero insieme alcuni momenti della vicenda di Attis e Cibele e avrebbero pertanto avuto una funzione evocativa e celebrativa. Una sorta di “sacra rappresentazione” affidata alle statuette stesse. Altri oggetti sarebbero stati doni posti nel contesto della scena.
Essenzialmente il nostro presepe è la parte culminante di una sacra rappresentazione derivata da quella di Francesco a Greccio. Il termine “presepe” ha radici etimologiche profonde che risalgono al latino praesaepe, composto da prae (innanzi) e saepes (recinto). Questa parola indica originariamente una greppia o mangiatoia, ma anche un recinto chiuso utilizzato per la custodia di ovini e caprini. La sua composizione riflette l’idea di un luogo che ha di fronte un recinto, suggerendo una sorta di contenitore protetto.
Un’alternativa ipotesi di derivazione suggerisce che il termine possa provenire dal latino praesepire, che significa recingere, indicando un’area circoscritta. Nel latino tardo delle prime vulgate evangeliche, il termine evolve in “cripia”, che in italiano diventa “greppia”. Allo stesso modo, in altre lingue europee, il concetto si traduce in krippe in tedesco, crib in inglese, krubba in svedese e crèche in francese.