“Guarda che splendore!”. L’oggetto romano emerge dagli scavi con l’obolo di Caronte. Cos’è? A cosa serviva? Perché quella forma?Rispondono gli archeologi

E’ uno splendore, questo oggetto, a livello di design. Solido, proporzionato, ingegnoso, ricco della potenza insita nel messaggio comunicativo romano. Proporzioni perfette. Praticamente intatto, dopo 1600 anni circa di permanenza nel terreno. Cosa ci racconta questo reperto, appena portato alla luce? E l’obolo di Caronte trovato a poca distanza?

Gli scavi nell’antica città di Adrianopolis, situata a Eskipazar, nel distretto di Karabuk in Turchia, hanno rivelato importanti reperti di epoca romana, tra cui una fibula e una moneta – utilizzato come obolo per il traghettatore dei defunti – che reca inciso il “Dio del fiume”. Questi ritrovamenti sono stati effettuati dalla squadra archeologica dell’Università di Karabuk, diretta dal professor Ersin Celikbas, nell’ambito del progetto “Legacy to the Future” promosso dal Ministero della Cultura e del Turismo turco. Sulla fibula ci soffermeremo tra un attimo perché è un oggetto splendido.

Adrianopolis, abitata dal tardo Calcolitico fino al periodo bizantino, ha restituito nel tempo numerose strutture, come bagni romani, chiese con mosaici, fortificazioni, tombe scavate nella roccia e vari edifici monumentali, guadagnandosi il titolo di “Zeugma del Mar Nero”. E’ proprio nell’area della necropoli che stanno lavorando ora gli archeologi.

La scoperta della moneta, posta in una tomba come pagamento a Caronte, evidenzia come la tradizione del traghettatore dei defunti fosse ancora praticata nell’Impero Romano del II secolo d.C. Celikbas ha spiegato che gli scavi nella necropoli meridionale e nell’area “SDJ-3” hanno rivelato continuità nelle pratiche di sepoltura per circa 300 anni, suggerendo l’importanza di Adrianopolis come base militare romana nella Paflagonia. I reperti testimoniano così non solo l’eredità culturale e religiosa, ma anche l’influenza militare romana sulla città, offrendo preziosi spunti sulle tradizioni funerarie e sulla vita nell’antichità.

Gli scavi hanno portato alla luce una vasta necropoli, dove sono state trovate iscrizioni, armi e oggetti personali, inclusi gioielli e utensili, che offrono uno spaccato delle pratiche quotidiane e delle tradizioni funerarie.

Cos’è la fibula arbalest ritrovata

La fibula arbalest, nota anche come fibula a balestra, è un tipo di spilla di origine romana caratterizzata da una struttura massiccia e un arco centrale che ricorda la forma di una balestra. Questa tipologia di fibula ebbe un largo utilizzo tra il III e il V secolo d.C., diffondendosi principalmente nell’Impero Romano e, oltre i suoi confini, in numerose aree di influenza. Utilizzata come fermaglio per fissare mantelli e indumenti pesanti, la fibula arbalest divenne in seguito anche un simbolo di status, poiché indossata da figure di spicco, sia militari e civili.

A quei tempi le balestre non venivano ancora utilizzate, ma probabilmente la forma della arbalest traeva origine da una potente macchina da guerra, la ballista, che aveva una forma che anticipava quella della balestra stessa.

Le fibule arbalest erano solitamente in bronzo o ferro e venivano ornate con intarsi d’argento, oro o paste vitree, rendendo questi oggetti non solo funzionali ma anche decorativi. La loro struttura era semplice ma solida: comprendevano un arco centrale prominente e robuste sporgenze laterali che, unendosi a una molla e ad un lungo ago, permettevano di fissare saldamente le pieghe dei tessuti. Per indossare la fibula, il portatore doveva far passare il lungo ago attraverso il tessuto, fissandolo poi con il blocco a molla, un meccanismo che manteneva la chiusura sicura e impediva che l’indumento si aprisse accidentalmente.

Fibula romana del IV secolo. Osservata dai lati rivela somiglianze con le macchine da guerra. La parte arcuata della fibula era così realizzata perché potesse contenere le parti sovrapposte di due tessuti spessi, che venivano sovrapposti, durante la vestizione, e uniti dall’ago della spilla @ Harvard Art Museums/Arthur M. Sackler Museum, Gift of Dr. and Mrs. Jerry Nagler
Fibula romana del IV secolo. Osservata da questo punto di vista somiglia a un crocifisso @ Harvard Art Museums/Arthur M. Sackler Museum, Gift of Dr. and Mrs. Jerry Nagler

Queste fibule erano particolarmente utilizzate dai soldati romani, che le usavano per assicurare i mantelli o le tuniche in modo pratico ma anche distintivo. Alcuni modelli decorati erano destinati agli ufficiali di grado più alto, che li indossavano come simbolo di autorità e rango. Inoltre, a partire dal IV secolo, la fibula arbalest venne sempre più utilizzata anche da civili benestanti, divenendo un accessorio di moda che esprimeva l’identità culturale e sociale del portatore.

Sarebbe interessante studiare – poiché la diffusione della fibula arbalest avvenne soprattutto nel tardo impero – quanto essa sia stata poi religiosamente sostenuta dalla somiglianza – se osservata da sopra – con una Croce.

La fibula trovata ad Adrianopolis. La osserviamo, qui, dall’alto @ Foto AA

In hoc signo vinces è una frase latina, dal significato letterale: “in questo segno vincerai” che sarebbe comparsa, nella versione greca, accanto a una croce, all’imperatore Costantino, nel 312, alla vigilia della battaglia di Ponte Milvio. Dobbiamo poi ricordare che l’editto di Tessalonica del 380 rese il cristianesimo niceno la religione ufficiale dell’impero romano. Dalla croce che garantì la vittoria a Costantino, secondo la sua narrazione, potrebbe essersi sviluppata un’idea superstiziosa negli ambienti militari. La fibula arbalest potrebbe essere composta dalla sovrapposizione di due simboli: la croce di Costantino – In hoc signo – e la macchina da guerra romana – vinces -. I Romani, come ben sappiamo, lavoravano sulla sovrapposizione dei piani simbolici.

La ballista, simbolo del potere

E’, come dicevamo, probabile, che le fibule arbalest si ispirassero inizialmente a un’arma d’artiglieria di grande efficacia. La ballista o balista era una delle più potenti macchine da guerra utilizzate dai romani per il lancio di proiettili pesanti durante assedi e battaglie campali. Sviluppata a partire da modelli greci e perfezionata dai romani, la ballista era basata su un sofisticato meccanismo a torsione, che utilizzava fasci di corde di tendine o crine di cavallo, stretti e attorcigliati, per immagazzinare l’energia necessaria al lancio.

Questa macchina poteva scagliare grossi dardi, frecce o pietre con grande precisione e a lunga distanza, arrivando fino a 500 metri. La ballista era apprezzata sia per la sua forza distruttiva che per la precisione. Alcuni modelli di ballista erano abbastanza compatti da essere montati su carri, il che permetteva loro di essere trasportati e impiegati anche sui campi di battaglia.

Le balliste venivano costruite in diverse dimensioni, dalle grandi onagri alle più piccole manuballistae, e i soldati romani specializzati nell’artiglieria, gli artillerii, le gestivano con grande abilità. L’uso della ballista contribuì in modo significativo al successo dei romani negli assedi, rappresentando una delle più avanzate tecnologie di guerra della loro epoca.

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Stile Arte è una pubblicazione che si occupa di arte e di archeologia, con cronache approfondite o studi autonomi. E' stata fondata nel 1995 da Maurizio Bernardelli Curuz, prima come pubblicazione cartacea, poi, dal 2012, come portale on line. E' registrata al Tribunale di Brescia, secondo la legge italiana sulla stampa