Non si tratta di una sepoltura secondaria, cioè di una tomba scavata per trasferire i resti già deposti in una prima fossa. Quindi il cranio non scivolò, in quel punto. Ma la testa venne deliberatamente tagliata, forse quando lei era ancora in vita o, certo, nelle ore immediatamente successive al decesso. Il corpo acefalo venne accuratamente adagiato in una fossa e il capo fu collocato, al contrario, sulla mano destra della donna stessa, appoggiata al petto. Le dita della donna coprivano i suoi stessi occhi, come quando ci si sottrae a una scena raccapricciante. Il rituale risulterebbe anomalo. Questi i risultati di una prima fase di indagine su un giallo della preistoria, i cui esiti scientifici sono stati pubblicati in queste ore.
Facciamo qualche passo indietro. Nel 2017, durante uno scavo archeologico preventivo nel sito di Puisserguier (Hérault, Francia), viene riportata alla luce una sepoltura che sfida le convenzioni delle pratiche funerarie del tardo Neolitico (3500–2500 a.C.) e dell’avvio del Mesolitico. Una fossa di 2,9 metri di diametro, originariamente destinata allo stoccaggio dei prodotti agricoli – una sorta di silo scavato nel terreno -, rivela i resti di una donna la cui testa, staccata dal resto del corpo, era stata posizionata con cura sul suo petto, sostenuta dalla mano destra.
Questa scoperta, datata al periodo calcolitico (2700–2600 a.C.) grazie al radiocarbonio, è stata analizzata in uno studio pubblicato su Antiquity (novembre 2024) e condotto da Jerome Rouquet, Girolamo Hernandez, Romain Marsac, Melanie Pruvost e Muriel Gandelin.
Amata e “punita”? Colpita dagli stessi membri della propria famiglia o del proprio clan? Sacrificata ritualmente e sepolta laddove, in precedenza, forse lo stesso gruppo collocava le granaglie? O – non vorremmo pensarci – un’esecuzione avvenuta nel contesto “matrimoniale”? La tomba lascerebbe intendere un insieme singolare di violenza e amorosa cura. Un particolare che non apparirebbe in altre sepolture di persone uccise attraverso decapitazione, dalle quali emerge, nell’insieme, la distanza del disprezzo.
“La cura meticolosa nella sua disposizione, conforme alla postura di sepoltura più comune del periodo, suggerisce sforzi per mantenere una parvenza di normalità nella morte, nonostante la violazione dell’integrità corporea”. affermano gli studiosi. Eppure, aggiungiamo noi, la presenza di un cranio spiccato e posto al contrario, potrebbe lasciare intendere un sovvertimento simbolico, qualcosa di simile a una punizione all’interno di un contesto “familiare”.
Si cerca di capire se un grosso coltello di rame della stessa epoca, trovato in un campo arato, a 150 metri di distanza, possa connettersi – com’è probabile – al gruppo umano che depose la donna in questa tomba.
La cultura Verazien e contesto archeologico
La fossa 1079 è stata associata all’ultima fase della cultura Verazien, una tradizione materiale diffusa nella Catalogna e nella regione della Linguadoca-Rossiglione tra il 3500 e il 2000 a.C. I reperti ceramici rinvenuti nella fossa e un pugnale di rame trovato poco distante testimoniano l’appartenenza di questa sepoltura a una comunità del tardo Neolitico fortemente influenzata dal Calcolitico.
La deposizione del corpo nella fossa presenta caratteristiche che mescolano elementi convenzionali con tratti profondamente atipici, in particolare per quanto riguarda il trattamento della testa.
Una sepoltura inusuale: dettagli anatomici e tafonomici
Il corpo – dice lo studio – apparteneva a una donna adulta, di età compresa in un range tra i 20 e i 49 anni. L’osservazione scheletrica lascerebbe intendere che la donna dovesse essere comunque piuttosto giovane. L’analisi del posizionamento dello scheletro rivela una cura meticolosa nella deposizione: il corpo giaceva supino, con gli arti flessi e leggermente inclinati verso sinistra. La testa, separata dalla colonna vertebrale, era stata adagiata sul petto e sostenuta dalla mano destra, un dettaglio che contrasta nettamente con la posizione del resto dello scheletro, conforme alle pratiche funerarie dell’epoca.
L’assenza di segni evidenti di taglio sulle vertebre cervicali o sulla mandibola impedisce di confermare con certezza le modalità di decapitazione. Tuttavia, la conservazione delle connessioni cranio-mandibolari e delle articolazioni della mano suggerisce che la testa fosse stata staccata poco dopo la morte, quando i tessuti erano ancora integri. La possibilità di una decomposizione naturale o di una mummificazione parziale è stata considerata improbabile nel contesto climatico e geografico del sito.
Significato rituale o atto di esclusione?
Le sepolture neolitiche con rimozione intenzionale del cranio sono documentate in diversi contesti europei, ma il caso di Puisserguier si distingue per l’insolita disposizione della testa e per l’integrità del resto del corpo.
A differenza di altre pratiche che prevedevano la rimozione postuma del cranio o smembramenti completi, qui la testa è stata ricollocata con cura – ma non tra le spalle, sul petto e sulla mano – suggerendo una scelta deliberata e significativa. Gli archeologi ipotizzano che questo trattamento possa riflettere un’attenzione particolare verso la defunta, forse per il suo ruolo o status all’interno della comunità.
D’altra parte, la collocazione della sepoltura in una fossa riutilizzata e la violazione dell’integrità corporea sollevano interrogativi sulla natura dello status funerario. Potrebbe trattarsi di un tentativo di mantenere una parvenza di normalità nella morte, nonostante un trattamento del corpo che sembra rompere le convenzioni culturali del periodo.
Un caso unico nella Francia meridionale
Fino ad oggi, la sepoltura di Puisserguier non trova paralleli nel Neolitico della Francia meridionale. È unica sia per il contrasto tra la cura funeraria e l’alterazione della continuità anatomica, sia per l’importanza attribuita al posizionamento della testa.
Lo studio suggerisce che il trattamento della donna riflettesse pratiche rituali specifiche o un evento straordinario che giustificasse una messa in scena tanto complessa. Il significato esatto rimane tuttavia sfuggente, richiedendo ulteriori indagini sulle pratiche funerarie e sulla cultura materiale della regione.
Fonte: Antiquity