[A]ntonio Canova morì il 13 ottobre 1822, ma la sua tomba monumentale, un mausoleo d’architettura neoclassica, era solo alle fondamenta. La salma fu così collocata nella sacrestia della vecchia chiesa parrocchiale di Possagno, in un’urna che recava sulla lapide la scritta Hic Canova.
Nel 1832, ultimato il tempio e consacrato come luogo di culto, il corpo dell’artista venne traslato dalla sacrestia alla nicchia occidentale del mausoleo. Ma le spoglie non furono consegnate integre all’eternità. Attorno ad esse si era infatti aperta una vertenza dalla connotazione medievale, simile a quelle che, nel passato, avevano opposto, sulla proprietà delle reliquie, le città frequentate da persone morte in odore di santità. Neppure la salma dello scultore – divenuta oggetto di contesa tra Possagno e Venezia – poté essere sottratta a questa antica consuetudine. La vertenza fu risolta con una macabra divisione dei resti.
La Serenissima, dove Canova aveva eseguito le sue prime sculture e dove aveva terminato i propri giorni terreni, ottenne il cuore – sede dell’anima, dello spirito, primo organo della vita -, che venne posto nella chiesa di Santa Maria Gloriosa dei Frari. La mano destra, sacralizzata dal grande lavoro svolto, venne custodita all’Accademia come una laica reliquia che avrebbe dovuto estendere una benedicente protezione sul centro di formazione degli aspiranti pittori e scultori. E’ importante notare quanto, sotto il profilo antropologico, i resti di artisti considerati immortali subissero un trattamento simile a quello degli uomini e delle donne vissuti come eroi della Cristianità.
Tre furono pertanto le “tombe” realizzate per Canova. La prima si trova, come detto, nel tempio di Possagno, il paese nel quale Antonio era venuto alla luce il primo novembre 1757. La seconda, destinata al cuore, fu edificata su commissione di Luigi Zandomeneghi, degli allievi dello scultore e della Municipalità di Venezia, ispirandosi al modello classico cui lo stesso Canova era ricorso per la tomba di Tiziano. Il terzo “sacello” era, appunto, all’Accademia, che custodiva la reliquia della mano, staccata dalla salma per volere dello storico dell’arte Leopoldo Cicognara.
La suddivisione delle spoglie sarebbe stata concettualmente utilizzata in modo dissacratorio dal critico Roberto Longhi il quale, non amando la freddezza e il mondo apollineo di Canova, scrisse una sentenza divenuta storica. Parlò di un artista “nato morto, il cui cuore è ai Frari, la cui mano è all’Accademia e il resto non so dove”. (ebc)
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