Monsignor De La Boullerie era un prelato francese che si occupò, tra gli altri argomenti religiosi, del significato degli elementi naturali nei dipinti sacri. Qui affronta la valenza delle nubi.
di Monsignor De la Bouillerie
[L]a nuvola che passa sopra le nostre teste senza lasciare traccia è una delle immagini di cui si serve l’autore del libro biblico per mostrarci la vanità della vita. “La nostra vita – dice – scomparirà come una nube passeggera”.
Quanto è sorprendente la verità di questo simbolo! Una nube che molto di rado lascia giungere verso di noi qualche pallido raggio di sole, ma che spesso è carica di tempesta, una nube che i venti trascinano mentre un’altra la sorpassa e la sostituisce, una nube che lontano dai nostri occhi sembra qualche cosa e che invece non è niente quando si avvicina, non rappresenta forse la vita? Ma le nubi stendono sul sole i loro lunghi veli e lo nascondono in parte allo sguardo. È per questo motivo che nella Sacra scrittura raffigurano sovente il mistero che avvolge la verità divina.
“Il trono dell’Altissimo – dice l’Ecclesiastico – è in una colonna di nubi, perché Dio dimora, relativamente a noi, in un insondabile mistero”. E per guidare gli Ebrei nel deserto, Dio nasconde il volto divino sotto tale colonna, dal cui centro parla al suo popolo. In columna nubis loquebatur ad eos.
“Perché – si chiede Sant’Agostino – il Signore parla agli Ebrei solo attraverso simboli, e perché la nube doveva sciogliersi solo quando faceva intendere la sua voce?”. Ciò che era incomprensibile nella nube Gesù Cristo l’ha fatto comprendere a tutti gli uomini.
Noi abbiamo visto che Sant’Agostino ci rappresenta i cieli come raffiguranti le Sacre Scritture. Interpretando il versetto del salmista: “Il Signore copre il cielo con le sue nubi, prepara la pioggia alla terra”, ci dice che cosa sono queste nubi, ossia le immagini ed i misteri rinchiusi nei santi libri.
Chi umilia i peccatori ed ha pietà degli umili copre il cielo con le nubi e prepara la pioggia. Poiché voi non vedete più il sole, voi tremate, ma la pioggia che sfugge alle nuvole rende fertili le campagne, ed il sereno che poi ritorna vi riempie di gioia. Senza l’oscurità delle Scritture, non potremmo affatto dirvi tutte quelle cose che riempiono di gioia le vostre anime. Esse sono la pioggia che vi feconda; Dio ha voluto che le parole dei profeti fossero oscure perché i Dottori interpretandole potessero esercitare sul cuore degli uomini un’influenza salutare e comunicare loro, tramite le nubi, l’abbondanza della gioia spirituale.
La nuvola che appare ad Elia, dapprima appena visibile e che poi pervade l’immensità dei cieli, quella che Isaia implora quando dice: “Oh! Che questa nube faccia piovere la giustizia!”, quella che seguendo la parola dello stesso profeta accompagna il Signore quando entra in Egitto, simboleggiano, secondo i Santi Dottori, la Vergine Maria. Ma essi sono concordi pure nel paragonare la nube alla carne stessa del Salvatore che vela la sua divinità.
Gesù Cristo dimora rinchiuso nelle nubi della sua vita nascosta a Betlemme e a Nazareth. Quando comincia la sua vita pubblica si preoccupa di parlare agli uomini, soprattutto con parabole; e quella nube è così densa che può rivolgere agli Apostoli questa domanda: “La gente chi dice che io sia?”.
Il mondo non vede in lui che una nube, e gli Apostoli rispondono: “Gli uni dicono che tu sei Giovanni Battista, gli altri Elia, altri ancora Geremia”. Ecco le nubi di cui Gesù Cristo si copre; ma Pietro risponde a nome di tutti: “Tu sei Cristo, figlio del Dio vivente”. Come se dicesse con il re profeta: “Chi fra le nubi potrà essere paragonato al Signore?” Quis in nubibus sequabitur Domino? La divinità del Salvatore trapela attraverso le nubi. Nell’ultimo giorno apparirà in tutta la sua gloria, e davanti ad essa le nubi si scioglieranno per l’eternità.
Le nuvole, velando la luce del sole, ricordano al nostro spirito il mistero che circonda le cose sante; ma siccome nello stesso tempo diffondono sulla terra la pioggia e la fecondità, i Santi Dottori vedono in esse l’immagine del predicatore del Vangelo. Su questo argomento i testi abbondano. “Le nubi – dice il re profeta – hanno fatto sentire la loro voce, e quest’ultima è la voce della verità”. La verità di Dio, riprende Davide, ha penetrato le nubi. Veritas tua usque ad nubes.
Ed in effetti, continua Sant’Agostino, “la verità divina, come sarebbe giunta agli uomini se fosse rimasta nascosta nella profondità del cielo? Ma è discesa fino alle nuvole che in seguito l’hanno sparsa sulla Terra”. La verità divina giunge a noi attraverso i predicatori, ed in pari tempo i nostri spiriti infermi risalgono tramite loro fino alla conoscenza della verità. È in tal senso che lo stesso Dottore interpreta un altro passaggio di Davide: “Signore, tu hai posto le nubi come un gradino per giungere a te”. Qui ponis nubem ascensum tuum.
Ascoltiamo questo predicatore ammirevole mentre si paragona a quelle nuvole feconde. “Piaccia a Dio – esclama – che non mi trovi indegno di essere enumerato tra di esse. Voi stessi che mi ascoltate ne avrete la prova; se ho saputo agire su di voi, se i miei sudori non sono stati completamente infruttuosi, io vi avrò fatto salire con la mia predicazione sino al cielo delle sante scritture che contengono la verità”.
Ma le nubi non versano soltanto la loro pioggia benefica, trasmettono anche i raggi del sole dei quali sono penetrate; e questa luce temperata si addice meglio ai nostri occhi infermi. “Le nubi diffondono la loro luce” dice Giobbe. Nuber spargunt lumen suum. “Perché – afferma San Gregorio – accade che i predicatori del Vangelo, mentre fecondano le nostre anime con l’effusione della loro parola, le illuminano e le rallegrano con l’irradiamento della loro santa vita. Felice dunque il suolo privilegiato al di sopra del quale passano le nubi che fecondano e che illuminano, ma infelice colui che ha meritato la collera terribile del Signore. Ordinerò alle mie nubi di non piovere su costui. Infelicità all’anima che non vede più la luce, neanche attraverso la nube”.
Quanti popoli hanno visto passare sopra di loro le nuvole benefiche! Ma Dio solo – è detto nel libro di Giobbe – “conosce i grandi sentieri che attraversano le nubi”. Preoccupiamoci che Dio non le spinga verso paesi che non siano i nostri, che il cielo non diventi bronzo al di sopra delle nostre teste.
Perciò, per il fatto di essere cristiani, noi dobbiamo essere apostoli. “Perché Dio – dice l’Ecclesiastico – ha affidato a ciascuno di noi il proprio vicino”. Ognuno di noi ha dunque ricevuto una parte dei beni celesti ai quali far partecipare i suoi fratelli; così, senza paragonarci a quelle nubi copiose che versano su tutto un paese la fertilità e la ricchezza, noi dobbiamo ugualmente imitarle, almeno in una certa misura. Ma quanti cristiani meritano il rimprovero che l’Apostolo santo indirizza loro, di essere nubi senza acqua, nubes sine aqua!
Signore che ciò non succeda a me; io non sono che una piccolissima nube, quale fertilità posso diffondere? Una buona parola, un consiglio da cristiano, un esempio edificante! Si tratta solo di una goccia di pioggia, ma che può rinfrescare vicino a me un’anima inaridita.
(traduzione dal francese di paolo pietta)