Giacometti e l’Egitto. L’arte europea, a partire dalla fine dell’Ottocento, manifestò un crescente interesse nei confronti di mondi primitivi o di raffinate civiltà sepolte. Numerosi artisti, per superare l’Impressionismo e il realismo accademico – e rifiutando, come socialisti, il mondo occidentale borghese – avevano iniziato a frequentare i centri minori della Francia, scegliendo di dipingere gli abitanti, i riti e i paesaggi di Pont-Aven, piccolo borgo rimasto magicamente al Medioevo. Tra gli artisti c’era Gauguin, che sentì poi il richiamo dei Mari del Sud e, al tempo stesso, iniziò a guardare agli antichi egizi e ad altre espressioni arcaiche, che proponessero un’alternativa al modello stilistico diffuso. Superare l’obbligo di una verità analitica e scientifica. Superare anche la centralità delle chiese occidentali, in direzione di altre prospettive spirituali. Imporsi per una novità stilistica. Questi erano i fini degli artisti moderni.
Come sappiamo, un’esposizione d’arte africana, organizzata a Parigi, pose le basi per il cubismo di Picasso e Braque, che si ispirarono alla rappresentazioni spigolose di quelle culture, rifiutando il punto di vista frontale e centrale della nostra cultura e creando una visione simultanea da più punti dell’oggetto da rappresentare. Lo stesso Modigliani fu sedotto dai volti lunghi e misteriosi di quelle statue.
Alberto Giacometti (Borgonovo di Stampa, 10 ottobre 1901 – Coira, 11 gennaio 1966) nacque proprio negli anni della rivoluzione primitivista o arcaicista. L’artista svizzero trovò un singolare punto di fusione tra le figure allungate della civiltà etrusca e le statue dell’antico Egitto, alle quali guardò – soprattutto – per le pose ieratiche e la forte proiezione metafisica. Ciò che Giacometti voleva rappresentare è la dimensione dell’uomo che cerca un colloquio con l’Assoluto, ottenendo – come risposta – il silenzio. Permane, nelle sue sculture, il forte senso dell’enigma – che caratterizza i surrealisti, ai quali si accostò – e la mancata soluzione di ogni quesito metafisico che caratterizza l’esistenzialismo. Anche per questo le sue opere furono particolarmente amate da Sartre. Potremmo dire che Giacometti rappresenta l’uomo contemporaneo nel dolore di fronte al silenzio del Cielo, al quale – nobilmente – ancora si rivolge.
Fino al 10 ottobre 2021, l’Institut Giacometti di Parigi presenta – a proposito del rapporto tra Giacometti e l’Egypte – una mostra unica. Da un lato le opere di Giacometti, dall’altra quelle della civiltà egizia, conservate al Louvre, che, sotto il profilo della tipologia della posa, hanno, direttamente o indirettamente, influenzato l’artista svizzero.
Alberto Giacometti, sin da ragazzo, aveva un forte passione per il mondo dei Faraoni e, durante la propria carriera, ha disegnato riprendendo spesso quegli antichi modelli. Questo tributo è regolarmente presente anche nella scultura e nella pittura, sia come repertorio di forme sia come componente essenziale della sua concezione estetica.
Basandosi su ricerche inedite sulle fonti utilizzate dall’artista, la mostra propone un percorso tematico fatto di dialoghi tra opere emblematiche di Giacometti e figure egiziane, in particolare quella dello scriba, l’arte del periodo Amarna o i ritratti del Fayum