Anteprima | Jeff Koons In Florence. La mostra. Una scultura monumentale all’arengario di Palazzo Vecchio

LA MOSTRA - Pluto and Proserpina di Jeff Koons (1955), un'opera monumentale alta più di tre metri, accoglierà i visitatori della mostra che mette a confronto la provocante bellezza delle opere del geniale artista americano e i capolavori senza tempo di Donatello (1386-1466) e Michelangelo (1475-1564).


[googlemap src=”” align=”alignright” ][box type=”note” ]JEFF  KOONS IN FLORENCE
26 settembre – 28 dicembre 2015
(dal 25 settembre visibile Pluto and Proserpina in Piazza Signoria)
Sala dei Gigli, Palazzo Vecchio
Arengario di Palazzo Vecchio, Piazza della Signoria

Orario mostra
Sala dei Gigli segue gli orari del Museo di Palazzo Vecchio:

Fino al 30 settembre
Tutti i giorni escluso il giovedì: 9-23
giovedì: 9-14

Da ottobre fino a fine mostra
Tutti i giorni escluso il giovedì: 9-19
giovedì: 9-14

Arengario di Palazzo Vecchio sempre fruibile

Costo del biglietto
Per la sala dei Gigli integrato al prezzo del biglietto
di  Palazzo Vecchio

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[googlemap src=”” align=”alignright” ][P]er la prima volta, dopo circa cinquecento anni dalla messa in posa dell’Ercole e Caco di Baccio Bandinelli (1493-1560), una scultura originale di grandi dimensioni sarà collocata sull’arengario di Palazzo Vecchio. Si tratta di Pluto and Proserpina di Jeff Koons (1955), un’opera monumentale alta più di tre metri. Un evento eccezionale che inaugura il progetto In Florence, un programma ambizioso e innovativo che vede i protagonisti dell’arte del nostro tempo confrontarsi con gli spazi e le opere del Rinascimento fiorentino.

 

Jeff Koons In Florence è un confronto tra la provocante bellezza delle opere del geniale artista americano e i capolavori senza tempo di Donatello (1386-1466) e Michelangelo (1475-1564). I luoghi eletti del “dialogo” saranno la Sala dei Gigli in Palazzo Vecchio e Piazza della Signoria.  La mostra,  organizzata da Associazione Mus.e e a cura di Sergio Risaliti, è realizzata grazie alle relazioni e al generoso contributo di Fabrizio Moretti, nuovo mecenate per l’arte contemporanea e per Firenze, già noto a livello internazionale come mercante d’arte antica.

 

A Palazzo Vecchio sarà esposta Gazing Ball (Barberini Faun), opera realizzata nel 2013 appartenente alla serie denominata dall’artista Gazing Ballcalchi in gesso di celebri sculture del periodo greco-romano cui l’artista ha aggiunto, in posizione di precario equilibrio, una sfera di colore azzurro brillante e dalla superficie specchiante. Un raffinato e attraente gesto concettuale per ribaltare e deviare lo sguardo dello spettatore dall’ammirazione dell’opera classica, quale immagine memorabile di pura perfezione, alla totalità dello spazio ambientale, in cui si riconoscono anche gli osservatori e i vari elementi che caratterizzano il contesto espositivo. Un lavoro che insiste sulla seduzione del calco in gesso, così puro, leggero, impalpabile, e la magia disorientante della sfera azzurra con la sua superficie riflettente come uno specchio.

L’antico Fauno Barberini ( “Uno fauno a sedere più grande del naturale quale sta dormendo e tiene un braccio in testa”, Archivio Barberini, Roma, 1632) è una scultura di età imperiale – ispirata probabilmente a un opera in bronzo di epoca tardo-ellenistica.  Rinvenuto a Roma nei fossati di Castel Sant’Angelo intorno al 1624, il  marmo entrò nella collezione del Cardinale Francesco Barberini nel 1628,  per poi arrivare in Germania agli inizi dell’Ottocento, dove è conservato presso la Gliptoteca di Monaco. Alcuni restauri della scultura furono eseguiti, già all’epoca del rinvenimento, dalla bottega di Gian Lorenzo Bernini (1598-1680) o da lui medesimo.

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Pluto and Proserpina di Jeff Koons

 

Koons spiega in questi termini il senso del suo lavoro: “Ho pensato a Gazing Ball guardando per molti anni sfere di questo genere. Ho voluto affermare la perentorietà e la generosità della superficie specchiante e la gioia che scatenano sfere come queste. La serie Gazing Ball si basa sulla trascendenza. La consapevolezza della propria mortalità è un pensiero astratto, e a partire da questa scoperta uno inizia ad avere coscienza maggiore del mondo esterno, della propria famiglia, della comunità, può instaurare un dialogo più vasto con l’umanità al di là del presente”.

La sfera deve essere letta  come simbolo o archetipo della perfezione del cosmo, dell’Uno, dell’infinito e dell’eterno – come nel Timeo di Platone -, ma tale idealità  è contraddetta dalla posizione arrischiata in cui l’oggetto sferico si trova, posto com’è sulla coscia sinistra del giovane Fauno, nonché dalla superficie che riflette il transeunte, il molteplice, il mondo della vita.

Gazing Ball prende il nome dalle sfere specchianti, scoperte tante volte da Koons nella casa d’infanzia in Pennsylvania: ammalianti, incantevoli oggetti ornamentali prodotti per la prima volta a Venezia nel tredicesimo secolo, divenuti poi famosi nel diciannovesimo secolo durante il regno di Ludovico II di Baviera che li usava per decorare i giardini dei suoi palazzi, quindi arrivati in Pennsylvania attraverso gli Europei. Il potere incantatorio di questi oggetti risiede nel fatto che a chi guarda ad essi viene concessa la possibilità di vedere dietro le proprie spalle e fino agli angoli più lontani, con effetto panottico e anamorfico, assorbendo all’interno della stessa superficie il proprio riflesso e ogni altro elemento intorno al proprio corpo. Forme affascinanti, magiche, piacevoli anche per la loro leggerezza (si tratta di sfere di vetro soffiato) e per la loro associazione con il gioco infantile. Data la loro estrema fragilità sono anche associate all’effimera durata della vita umana – così come le bolle di sapone cui spesse volte vengono associate. Ecco perché la sfera, simbolo di perfezione, spesse volte è associata al tema della malinconia, stato d’animo provocato dal confronto dell’animo umano con l’incommensurabile.  Come afferma Koons: “La serie denominata Gazing Ball  ha alla base lo “sguardo del filosofo” che giunge alla trascendenza attraverso i sensi  per poi dirigere la nostra visione verso l’eternità tramite la pura forma e l’idea”.

La scelta di installare il Fauno nella Sala dei Gigli, fastoso ambiente, decorato con pregevoli affreschi di Domenico Ghirlandaio (1449-1494), e una finta tappezzeria impreziosita dalla presenza di gigli d’oro -emblema angioino in campo azzurro- nasce dalla volontà di creare un dialogo tra il linguaggio rinascimentale e quello contemporaneo. La sala ospita anche l’originale in bronzo della Giuditta e Oloferne (1457 circa) di Donatello, una delle sculture più fascinose e significative del Quattrocento italiano. Di fronte al capolavoro donatelliano – Giuditta implacabile punitrice di Oloferne, intorpidito dalla bellezza virginale della giovane eroina, poi fiaccato dal vino, infine decapitato – il Fauno Barberini -nella versione rivisitata di Koons- si presenterà al pubblico ancora nella sua provocante posa, esempio di una bellezza non volgare, sebbene spinta al limite dell’osceno. La plateale esibizione del nudo, con i genitali in bella mostra, la posa sensuale, indice di una potenza sessuale selvaggia sembrerà provocare la stessa Giuditta, punitrice degli eccessi libidinosi, della perdizione sessuale, come simboleggiano i baccanali scolpiti a bassorilievo nel basamento. La sfera specchiante e di colore azzurro entrerà, altresì, in rapporto con l’effige in bronzo, e poi con il contesto decorativo della sala, con le sue dominanti cromatiche e il prezioso soffitto ligneo. Contrasti esaltati dall’operazione eseguita da Koons che affronta il quotidiano e l’eterno, la bellezza classica e l’estetica di massa, la sfera del mito e quella della mondanità, l’infanzia e la storia, Eros e Thanatos, mentre l’ambivalenza tra equilibrio e instabilità, originale e copia, oggetto artistico e merce, invita a riflettere anche sul rapporto tra immaginazione e serialità, tra metafisica e basso materialismo, tra stupore e mistificazione. Infine quello tra immagini classiche e simulacri post-moderni.

 

Altre relazioni, altri significati emergeranno in Piazza della Signoria dove, a poca distanza dalla copia in marmo del David di Michelangelo, sarà esposta una delle più celebri sculture di Jeff KoonsPluto and Proserpina (2010-2013), un’opera monumentale, alta più di tre metri, in acciaio inox, lucidata a specchio e con una cromatura in color oro. Le due figure di Plutone e Proserpina, avvinghiate in un abbraccio drammatico e sensuale, scintilleranno alla luce del giorno e, illuminate durante la notte, strideranno in contrasto con le sculture in marmo e bronzo della piazza. Abbagliante presenza, l’opera di Koons, catturerà lo sguardo dei cittadini e  dei turisti, unico originale tra le copie del David e della Giuditta sull’arengario. La superficie specchiante dell’opera di Koons funzionerà in modo da assorbire, catturare e liquefare tutto lo spazio circostante, con effetti di splendore abbacinante e di virtuosistica defigurazione. Le stesse forme del dio dell’Averno, quelle della sua futura sposa – Persefone per i greci- sembreranno liquefarsi in una materia fluida, quasi gelatinosa, fortemente sensuale, al limite della dissoluzione figurativa, con il risultato di disperdere i connotati iconografici, quindi il presupposto mitologico dell’immagine, assieme all’originale morfologia barocca di cui l’opera di Koons è in qualche modo una libera riproduzione. In effetti, Pluto and Proserpina di Koons s’ispira a una celebre opera di Gian Lorenzo Bernini, il Ratto di Proserpina (225 cm, base 109 cm), commissionata all’artista dal Cardinale Scipione Caffarelli Borghese ed eseguita tra il 1621 e il 1622, quando Bernini aveva di poco superato i vent’anni. Nei documenti dell’epoca il gruppo viene descritto in questi termini: “Una Proserpina di marmo che un Plutone la porta via alto palmi 12 in circa et un can trifauce con piedistallo di marmo con alcuni versi di faccia”. Alla base della scultura era stato apposto, infatti, un testo poetico dedicato all’opera del Bernini, adattamento di un distico composto dal cardinale Maffeo Barberini, poi papa Urbano VIII, impressionato dalla bellezza del marmo. Nei Dodici distichi per una Galleria, illustra, con epigrammi e brevi descrizioni, dodici quadri di una galleria immaginaria si legge: “Quisquis humi pronus flores legis, inspice saevi / me Ditis ad domum rapi”. Per questo il punto di vista privilegiato deve essere considerato quello frontale, visto che qui si trovava l’iscrizione di Maffeo Barberini. Guardando la scultura di Bernini, scopriamo, infatti, che Plutone ha già lasciato cadere a terra il suo scettro bidentato per agguantare con vigore la giovane che innalza la mano destra al cielo con un gesto di lamento, supplicando aiuto e rimarcando a questo modo con virtuoso effetto quell’ “inspice me” al centro dei versi.

Per meglio comprendere il soggetto, dobbiamo rileggere le Metamorfosi di Ovidio, laddove viene descritto il momento in cui il dio degli inferi aggredisce la figlia di Cerere, intenta a raccogliere fiori in un boschetto nei pressi di un lago. La dea “si stava divertendo a cogliere viole e candidi gigli, ne riempiva con fanciullesco zelo dei cestelli e i lembi della veste, gareggiando con le compagne a chi più ne coglieva, quando in un lampo Plutone la vide, se ne invaghì e la rapì: tanto precipitosa fu quella passione. Atterrita la dea invocava con voce accorata la madre e le compagne, ma più la madre; e poiché aveva strappato il lembo inferiore della veste, questa s’allentò e i fiori raccolti caddero a terra: tanto era il candore di quella giovane, che nel suo cuore di vergine anche la perdita dei fiori le causò dolore“. La mitica vicenda, secondo gli studiosi, si ricollega all’alternarsi delle stagioni: al freddo e al gelo dell’inverno, alla rinascita primaverile. Plutone, infatti, nella tradizione letteraria viene spesse volte descritto come immagine del Sole. Nel trattato Imagini di Vincenzo Cartari (1531ca.- post 1571), ad esempio, testo indispensabile per l’iconografia rinascimentale, si trova scritto: “[…] fu finto che Plutone, intendendo per lui il Sole, la rapì, e portossela in inferno, perche il calore del Sole nodrisce, e conserva sotto terra tutto il tempo dell’inverno il seminato grano”. Secondo Varrone, citato da Sant’Agostino, il nome Proserpina verrebbe addirittura da proserpere, che simboleggia lo “sgusciare fuori” del seme dalla terra. Nel marmo di Bernini, Proserpina, bella come la Venere di Prassitele, sta lottando invano per la sua verginità. Grida, spalancando la bocca, invoca la madre e le compagne. Nello sguardo di lei si leggono: vergogna per la sua nudità offesa,  paura nei confronti della furia erotica di Plutone e commovente disperazione, perché tra pochissimo la ragazza conoscerà l’oscurità dell’Ade. I versi di Ovidio spiegano inoltre  la presenza di mazzi di fiori freschi aggiunti, da Jeff Koons, con precisione filologica, alla sua nuova scultura in acciaio inox, che, a differenza di Bernini, ad esempio, omette la figura del cane Cerbero. Opera monumentale, ricordiamolo, Pluto and Proserpina verrà esposta dal 25 settembre sull’arengario di Palazzo Vecchio a poca distanza dalla copia del David, simbolo universale del rinascimento fiorentino, tanto quanto la Primavera del Botticelli agli Uffizi.

In tale posizione, si esplicita una diversa e più sottile relazione tra Pluto and Proserpina di Koons e il contesto espositivo di Piazza Signoria, con la sua sfilata di mirabili sculture. Il senso dell’arte, della bellezza e dell’amore come continua rinascita, come sublimazione del dolore e come superamento della morte (anche della morte dell’arte). Infatti, nel mito di “Plutone e Proserpina” la potenza ctonia di eros che può essere seminatrice di morte e di violenza – sia spirituale sia materiale – è contraddetta dalla forza generatrice della bellezza e dell’amore, dalla funzione vitale e solare dell’unione di maschile e femminile, così come di storia e immaginazione. La speciale collocazione di Pluto and Proserpina di Koons è stata pensata anche per esaltare la peculiare somiglianza di quest’opera  con il Ratto delle Sabine del Giambologna (1529-1608) – posto sotto la Loggia dei Lanzi- e con il Genio della Vittoria del Buonarroti -conservato nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio, massimi esempi di una soluzione spiraliforme del movimento nei corpi; suggerendoci inoltre che Bernini deve molto all’arte del cinquecento nella sua prodigiosa invenzione del Ratto di Proserpina. Secondo la critica, Gian Lorenzo Bernini, avrebbe, infatti, prima studiato l’Ercole e Anteo del Giambologna, per poi prendere spunto dall’opera del toscano Pietro da Barga (documentato da 1574 al 1588), autore di un bronzo di stesso soggetto -oggi conservato al Museo Nazionale del Bargello- forse ispirato ad un brano di Plinio, che nella Naturalis Historia, (XXXIV, 69) descrive un gruppo bronzeo di mano di Prassitele, avente a oggetto proprio il “Raptus Proserpinae”, così come ad un bronzo di Vincenzo de’ Rossi (1525-1587), fuso nel 1565 circa.

 

Ecco dunque che l’esposizione Jeff Koons In Florence si presenta come un gioioso e raffinato gioco di citazioni e di rinvii, di contrasti e di confronti tra antico e contemporaneo, dove la superficie scintillante nasconde il senso oscuro e magico della creazione in funzione anche apotropaica.

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Stile Arte è una pubblicazione che si occupa di arte e di archeologia, con cronache approfondite o studi autonomi. E' stata fondata nel 1995 da Maurizio Bernardelli Curuz, prima come pubblicazione cartacea, poi, dal 2012, come portale on line. E' registrata al Tribunale di Brescia, secondo la legge italiana sulla stampa