Due monete, probabilmente con la funzione di ciondolo, forate per recare una corda ed essere appese al collo come portafortuna od elemento identificativo sono state trovate a pochi giorni di distanza a Volterra – in Toscana – e nei campi di Acle in Norkfolk in Gran Bretagna.
La moneta trovata in Gran Bretagna venne battuta da Cunobelino (anche Kynobellinus, Κυνοβελλίνος in greco, a volte abbreviato in Cunobelin; tardo I secolo a.C. – 41/42 d.C.) un principe britanno, sovrano della Britannia prima della conquista romana. La rara moneta inglese, di matrice stilistica celtica, databile tra il 20 a.C. e il 10 d.C., è stata recuperata da un appassionato di metal detector ed è stata dichiarata – nelle ore scorse – tesoro da parte del coroner, il medico legale, del Norfolk.
La dichiarazione che un oggetto rinvenuto nel terreno è “tesoro” consente ora ai musei di fare un’offerta al cercatore che ha trovato l’oggetto e al proprietario del terreno in cui la moneta giaceva. Il ricavato della vendita, che avverrà a prezzi di mercato, sarà equamente diviso tra i due, secondo un’interessante legge sui tesori promulgata qualche anno fa sul territorio britannico.
Nel caso in cui i musei non fossero interessati – ma in realtà c’è sempre qualche istituzione che avanza la richiesta di acquisto – la moneta potrà essere venduta regolarmente sul mercato da chi l’ha trovata.
La moneta di Cunobellino fu realizzata in Britannia, forse negli anni in cui Gesù era ancora un bambino, utilizzando rame e oro, quest’ultimo in piccola percentuale. Probabilmente l’oggetto era stato bucato per accogliere una corda e per realizzare una sorta di povera bulla, qualcosa di simile alle medagliette del battesimo con catenina, che si usavano fino a qualche decennio fa anche da noi. I bambini, alla nascita, venivano dotati di bulle, ciondoli cavi in cui potevano essere messi minuscoli oggetti o sostanze ritenute magiche. Avevano la funzione di proteggere i bambini stessi. Per i maschietti, la bulla era semisferica mentre per le bambine si usava una bulla a forma di luna.
Si pensa che, tra i meno ricchi, potessero essere utilizzate, a tal fine, anche monetine forate. O che medagliette di protezione potessero essere indossate pure durante l’età adulta.
Torniamo alla moneta di Cunobellino. Essa fu usata a lungo come ciondolo. Lo dimostrano – oltre che il foro – l’eccessiva consumazione del metallo da un solo lato – quello convesso – e il segno di allungamento dell’area circolare di bucatura, probabilmente provocato dalla corda.
Sembra che Cunobellino avesse buoni rapporti con l’Impero romano. Evidenze numismatiche e archeologiche mostrano come il suo regno prosperò, anche grazie all’aumento dei commerci con l’Italia, la Gallia e la Spagna.
La moneta ci dà notevoli informazioni. Da un lato osserviamo – alla nostra sinistra – un cavallo al galoppo, durante un salto, Sotto, la scritta CUNO, cioè l’abbreviazione del nome Cunobellino. Questa parte doveva essere quella visibile, a livello del ciondolo. A destra osserviamo l’altra faccia della moneta, fortemente consumata. Questa parte aderiva forse al petto di chi la portava. Il foro presenta un allungamento e segni abrasione. In questo lato della moneta è rappresentata una spiga con il nome CAMU, prime quattro lettere di Camulodunum, l’insediamento di Colchester, capitale dei Trinovanti, tribù che era guidata dal sovrano Cunobellino. Secondo alcuni studiosi Camulodunum sarebbe divenuta poi Camelot. Osservando le due facce appaiate della moneta possiamo dire che essa esprime un significato compiuto: grazie alla guerra (cavallo che salta, recto) Cunobellino dà prosperità e pace (la spiga del verso) a Camulodunum.
Morto Cunobellino – che era gradito ai Romani – si accesero alcune contese di successione, che diedero all’Impero la possibilità di avviare il processo di graduale conquista della Britannia.
La seconda moneta forata – che avrebbe avuto una funzione analoga a quella trovata in Inghilterra – è stata portata alla luce nelle scorse settimane, in fase di chiusura annuale del cantiere archeologico, nell’anfiteatro romano di Volterra.
L’oggetto è in fase di studio da parte degli archeologi toscani, al fine di stabilirne la datazione e la zecca di provenienza.