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Archeologia a colpo d’occhio. Reperti romani. Uno è ancora pieno. Dove li producevano. Come si aprivano. Cosa contenevano


Fragili e splendide. Cosa sono queste scultoree colombine romane? A quale secolo risalgono? In quale area dell’italica provincia venivano prodotte? Cosa contenevano?

Ai Musei Reali di Torino è conservato l’unico volatile di vetro soffiato che contiene ancora il suo liquido originario. Altri ne sono stati trovati, ma aperti. Il reperto integro fu portato alla luce a Rovesenda, un Comune in provincia di Vercelli. Lo splendido manufatto risale al metà del I secolo d. C.

“L’unguentario in vetro sottile a forma di colomba è un contenitore per profumi, unguenti e balsami. – spiegano gli studiosi dei Musei reali di Torino – Per poter consumare il contenuto era necessario spezzare la coda: questo esemplare è l’unico ancora sigillato che si conosca, ed è colmo per metà da un liquido limpido, con un lieve sedimento rosato depositato sul fondo. Questi raffinati recipienti, spesso dai colori vivaci, erano realizzati con la tecnica della soffiatura libera, che ne consentiva la modellazione a forma di colomba; dopo l’inserimento dell’unguento venivano sigillati”.

Gli oggetti furono prodotti nella zona, secondo una tecnica che poneva i propri presupposti nell’evoluzione della lavorazione del vetro, avvenuta in Medio Oriente.

“L’origine della tecnica della soffiatura libera del vetro è stata identificata in area siriana attorno alla metà del I secolo a.C.: da qui si diffonde rapidamente in tutto il mondo romano, dove permette l’affermazione dei contenitori in vetro per i vari utilizzi nella vita quotidiana già a partire dalla primissima età imperiale. – proseguono gli studiosi dei Musei Reali di Torino – Attestato soprattutto in Italia settentrionale e frequentissimo nei contesti sepolcrali piemontesi, l’unguentario a colombina è presente con pochi esemplari nelle altre regioni dell’Impero, tanto che si è identificata proprio nella Cisalpina occidentale la sua area di produzione, nel corso del I secolo d.C., in particolare nelle fornaci attive lungo il bacino del fiume Ticino e del lago Verbano. Unguentari simili vengono spesso ritrovati, anche in più esemplari, nei corredi delle tombe femminili, assieme ad altri di forma sferica, anch’essi tipici del Piemonte”.

Si ritiene che il liquido contenuto possa essere una sorta di acqua di rose, come farebbe pensare il deposito rosato del fondo. Per poter aprire la colombina bisognava stringere tra pollice e indice la parte finale della coda e ed esercitare una minima forza, verso un lato, come avviene, ancor oggi, per certi contenitori vitrei di medicinali.

Uno degli altri splendidi unguentari vitrei a forma di colomba è conservato al Museo Archeologico Nazionale di Adria. Il contenitore fu aperto, a quei tempi, e il suo contenuto fu utilizzato. Ma la colombina venne conservata.

“La piccola colomba in vetro blu, di età romana, è uno dei reperti più ammirati dai visitatori del museo di Adria. – affermano gli studiosi del museo veneto –  Proviene da una sepoltura rinvenuta a Cavarzere, in provincia di Venezia,  e si può datare all’inizio del I secolo dopo Cristo.
Originariamente, la piccola colomba era colma di un’essenza profumata, forse un’acqua di fiori Per usarla e profumarsi senza rompere completamente il contenitore, si doveva spezzarne la sottile coda. Osservate bene l’estremità a destra in questa foto: si vede la rottura avvenuta. Ma, come facevano gli antichi maestri vetrai a riempire la colombina con l’essenza profumata? Con la soffiatura si foggiavano il corpo e la testa; poi la colombina veniva riempita di profumo, servendosi di un imbuto; infine, rimettendo la colombina sul fuoco, si ammorbidiva di nuovo il vetro che poteva essere tirato con una pinza in legno e richiuso ermeticamente”.