Archeologia a colpo d’occhio. E’ una struttura romana. A cosa serviva, come funzionava

La Soprintendenza ABAP per la città di Reggio Calabria e Vibo Valentia ha compiuto un sopralluogo per verificare il risultato dell’aumento dei livelli marini, ai fini della conservazione dei monumenti.
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“Resti archeologici marittimi posti lungo la costa tirrenica della Calabria tra Pizzo e Capo Vaticano mostrano che il livello del mare non è cambiato negli ultimi 2000 anni circa, come invece è avvenuto in altre zone del Mediterraneo. – dice la Soprintendenza calabrese – Il sollevamento geologico della costa, causato dallo scontro tra le placche tettoniche di Africa ed Eurasia, ha infatti controbilanciato l’aumento del livello del mare avvenuto negli ultimi 18.000 anni. Tuttavia, il recente riscaldamento globale sta facendo fondere i ghiacci terrestri e in quasi 150 anni, dall’inizio dell’era industriale, il livello del mare Mediterraneo è aumentato di circa 25 cm, sommergendo in parte la peschiera dello Scoglio Galera a Briatico e le cave di macine intagliate sugli scogli delle Formiche di Ricadi”.

La peschiera romana di S.Irene, intagliata nello Scoglio Galera. @ Soprintendenza Reggio Calabria e Vibo

Nei giorni scorsi, come dicevamo, la Soprintendenza ABAP per la città metropolitana di Reggio Calabria e la Provincia di Vibo Valentia, il Segretariato regionale del MiC per la Calabria in collaborazione con INGV e Nucleo Carabinieri Subacquei di Messina, hanno effettuato sopralluoghi e rilievi per censire e proteggere questi geositi così importanti per la nostra storia millenaria

La costruzione dei vivaria. Una piscina perfetta

La costruzione dei vivaria, le piscine o pechiere per l’allevamento dei pesci, richiedeva una maestria ingegneristica non indifferente. E la peschiera che vediamo in queste immagini si rivela tecnicamente perfetta.

Columella, nel suo “De Re Rustica”, fornisce indicazioni dettagliate su come costruire stagni e piscine in modo da garantire un corretto ricambio d’acqua, necessario per mantenere l’ossigenazione e la freschezza del bacino. “Riteniamo ottimo uno stagno posizionato in modo che l’onda che entra allontani la precedente e non le permetta di rimanere all’interno del bacino,” scrive. Questa attenzione ai dettagli dimostra quanto fosse avanzata la conoscenza idraulica dei Romani.

Anche Vitruvio Pollione, nel trattato “De Architectura”, consiglia l’utilizzo della pozzolana, una polvere che, mescolata con calce e pietrisco, conferiva solidità alle costruzioni subacquee: “Quando vengono costruite dighe in mare, sotto l’acqua si rassoda… e lì si origina un tufo compatto e privo di umidità.”

La struttura oggetto del sopralluogo di questi giorni è stata realizzata, come possiamo ben vedere nell’immagine fotografica, con prese d’acqua orientate verso il mare aperto. Le onde entravano nella peschiera, ma il pesce non fuoriusciva dalla parte opposta e rimaneva all’interno delle vasche.

L’acquacoltura nell’antica Roma è una pratica che risale a secoli prima dell’epoca imperiale, un’arte che si sviluppò con una precisione tecnica e un’attenzione al dettaglio che ancora oggi ci sorprende. I Romani, amanti del pesce, erano disposti a fare grandi sforzi per garantirsi una costante fornitura delle specie più pregiate, tanto che pesci come l’orata, il luccio, la sogliola e la triglia erano tra i più ambiti. Tuttavia, grande attenzione veniva riservata anche ai pesci allevati nelle piscine, come le murene, i cefali, gli scampi, le seppie, i polpi, gli astici e le aragoste, oltre a un’ampia varietà di molluschi, tra cui le ostriche.

Gli albori dell’acquacoltura romana

L’inizio dell’acquacoltura romana è attribuito a Lucius Sergius Orata, un personaggio che secondo alcune fonti prendeva il nome proprio dalla sua passione per le orate. Nel 90 a.C., Orata avviò un allevamento di ostriche presso Baia, un’attività che gli procurò grandi guadagni. Non solo, si dice che fu lui a rivendicare per primo la superiorità dei mitili del Lago di Lucrino, nonostante, in età imperiale, le ostriche campane fossero considerate inferiori rispetto a quelle provenienti dalla Britannia. La sua impresa segna l’inizio di una tradizione che si svilupperà e perfezionerà nei secoli a venire.

L’acquacoltura romana, però, non si limitava alle ostriche. Columella, uno degli scrittori agronomi più importanti del I secolo d.C., descrive con grande dettaglio le tecniche di allevamento adottate dai Romani. In un passaggio del suo “De Re Rustica”, scrive: “Chiudevano in acqua dolce anche i pesci di fiume, nutrivano il muggine e lo squalo con tutta la cura che ora si mette nell’allevare la murena e la spigola. Infatti, l’antica discendenza campagnola di Romolo e di Numa voleva che la vita in campagna non risultasse manchevole rispetto a quella in città in nessun genere di ricchezze.”

La raffinazione delle tecniche di allevamento

Durante l’Impero, soprattutto tra il I e il III secolo d.C., l’allevamento dei pesci divenne essenziale non solo per soddisfare le esigenze delle mense dei patrizi, ma anche per contrastare la diminuzione delle risorse ittiche, rendendo necessario il ripopolamento delle coste tirreniche. Queste operazioni furono finalizzate a facilitare le catture e il trasporto dei pesci verso Roma e altre grandi città, trasformando l’allevamento ittico in una fonte di esportazione significativa.

Gli allevamenti di ostriche e molluschi lungo le coste del Lazio e della Campania proseguirono durante tutto l’Impero, come dimostrano le famose fiaschette vitree puteolane del IV secolo, che riportano incisi i principali monumenti costieri, tra cui impianti di allevamento di ostriche rappresentati con reticoli di palafitte. Le immagini raffigurano corde sospese a pali di legno, su cui venivano infilate le ostriche, con l’iscrizione OSTRIARIA a conferma della scena. Questa tecnica, molto redditizia, permise ai Romani di soddisfare la loro passione per i frutti di mare.

Plinio il Vecchio, nella sua “Naturalis Historia”, menziona ancxhe l’allevamento di specie rare e pregiate come lo Scarus cretense, un pesce pappagallo molto ricercato e originario del Mediterraneo orientale: “Si dice sia l’unico pesce che rumina e si ciba di alghe. È diffuso soprattutto nel mare Carpatico…”.

Il lusso degli allevamenti di Murene

Tra i pesci più apprezzati dai Romani vi era la murena, non solo per il suo sapore prelibato ma anche per la sua resistenza ai lunghi viaggi. Columella dedica ampie sezioni del suo trattato all’allevamento delle murene, sottolineando l’importanza di costruire vasche ricche di anfratti e ripari, per ricreare il loro habitat naturale. “Tuttavia, comunque sia costruita,” scrive, “se l’onda riempie d’acqua irrompendo, deve avere divisori vicini al fondo, nei quali si appartano i branchi di pesci, e angusti rifugi, nei quali possano rintanarsi le murene.”

Columella raccomanda inoltre che le murene non vengano mai mescolate con altre specie di pesci, poiché la rabbia, che affligge questi animali come i cani, le rende aggressive e portate a divorare altri pesci. “Se vengono colpite dalla rabbia,” osserva, “spessissimo inseguono quasi tutti gli altri pesci e li uccidono mordendoli.”

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Stile Arte è una pubblicazione che si occupa di arte e di archeologia, con cronache approfondite o studi autonomi. E' stata fondata nel 1995 da Maurizio Bernardelli Curuz, prima come pubblicazione cartacea, poi, dal 2012, come portale on line. E' registrata al Tribunale di Brescia, secondo la legge italiana sulla stampa